Luigi Lo Cascio è il “socratico professore” e Leonardo Maltese il giovane Giovanni, entrambi assai bravi, in “Il signore delle formiche” di Gianni Amelio, in gara alla Mostra di Venezia. Il film rievoca uno “scandalo” socio-culturale e poi anche giudiziario che fece molto clamore nel 68-69, mettendo in risalto il lati più bui e conservatori del nostro paese. Oggi sarebbe utile che molti giovani spettatori lo vedessero, perché in alcuni aspetti non è che le cose siano cambiate davvero tantissimo
Si poteva dire mirmecologo, studioso delle formiche, ma non omosessuale, per cui si usava la formula borghese “invertito” nel processo su Aldo Braibanti, intellettuale, teatrante off, poeta ed ex partigiano. E sarà questa la sua salvezza per la riduzione della pena: arrestato il 5 dicembre 1967 è condannato il 14 luglio ’68 dalla corte d‘Assise di Roma a 9 anni (poi ridotti a 4 in appello) per il reato di plagio con “psicoterapia maliziosa”, organizzata in un cenacolo artistico in un torrione medioevale a Castello Arquata. Al centro due giovani, un elettricista poi scomparso dal processo – scappato in tempo, detto volgarmente – e lo studente Giovanni Sanfratello, di famiglia ultra-cattolica e non progressista, che nel film è diventato Ettore invece ricambia l’affetto dell’uomo tanto da iniziare, maggiorenne, una convivenza che fa scattare lo “scandalo”. Quello ad Aldo Braibanti fu un processo infame, o senza colpevoli perché senza colpa, lo dice il ragazzo chiamato in causa come vittima e torturato con 40 elettroshock (vedi Qualcuno volò sul nido del cuculo) e 19 trattamenti di coma insulinico in una clinica veronese.
Il caso viene oggi con gran tempismo ricordato dal regista Gianni Amelio nel suo Il signore delle formiche, uno dei titoli italiani in concorso a Venezia, e secondo l’autore è drammaticamente attuale: “Viviamo in un paese barbaro e il mio obiettivo è dare coraggio a chi non può avere potere”. Ai tempi, ed era il ’68, si parlò molto di questo processo in cui si citava il reato di plagio, art. 603 del codice penale ereditato dal codice Rocco, abolito solo nel 1981, quando fu ricacciato indietro in un passato superstizioso da secoli bui. Insomma il film ripercorre le tappe di quel processo, di quel caso, disse Umberto Eco, “non giudiziario ma politico e civile perché ha messo in opera alcuni meccanismi di pensiero e di comportamento che sono una minaccia per ogni uomo libero”. E con lui, personaggio carismatico. si schierarono Moravia, la Morante, Bellocchio, Carmelo Bene e certo Pasolini, le cui assonanze di vita e pensiero sono macroscopiche, evidenti e sottolineate giustamente dal regista. Che ha dato, sua sponte, anche alla mamma di Braibanti il nome di Susanna, come la mamma di Pasolini, e alla cugina del giornalista dell’Unità il nome di Graziella, come la cugina di Pasolini.
I due uomini, i due peccatori, sono circondati da un odio antico, e il merito di Amelio è aver chiarito le carte che ciascuno tiene in mano e come le gioca, senza togliere una briciola di verità e attualità alla storia di un grande affetto. Un amore troncato che i due attori – un Luigi Lo Cascio all’emiliana di straordinaria misura interiore e la rivelazione di Leonardo Maltese, subito scritturato anche da Bellocchio – esprimono con sorprendente sensibilità e tenerezza, alternando l’autore il court-movie alle scene di vita italiana anni 60, con la festa dell’Unità, le discussioni di famiglia bigotta, gli incontri segreti. E c’è lo straziante finale che ad Amelio ricorda, ed ha ragione, quello super di Splendore nell’erba, con una poetica citazione di Wordsworth in cui si racchiude tutto il rimpianto del mondo. Intorno al signore delle formiche, che fece molto parlare l’Italia e i suoi giornali e i salotti, c’è un paese che si stava avviando, grazie ai radicali, verso la liberazione dei diritti civili oggi ancora in forse (vedi la legge Zan sempre rimandata al mittente). Ma intanto furono uccisi sentimenti vivi ed anche culturali oltre che sentimentali, proprio come accadeva con Pasolini che anche fisicamente e nel look viene ricordato.
Si capisce perché Amelio abbia girato La tenerezza pochi anni fa e perché nel suo cinema ci sia sempre stata un’attenzione verso l’adolescenza (fin dal debutto di Colpire al cuore): in questo film della sua maturità umana, oltre che di regista, rievoca il suo e il nostro passato, di vita e di cinema, insegnando ai giovani che non possono ricordare su quali vittime si basa il nostro sistema morale e giudiziario, che alla fine fece fare al “socratico” professore intellettuale (una definizione invisa ai più, come ricordano sempre certi politici) due anni di carcere in una cella di 3 metri per 4. Il cursus honorum del film è la perfetta calibratura tra pubblico e privato, l’intensa forza motrice che scorre dentro parole e immagini: Amelio ci tiene a precisare che si deve avere la sensazione che possa essere e sia una storia di oggi, perché purtroppo verosimilmente potrebbe.
C’è dentro al racconto la necessità che venga raccontato, anche nei suoi lati negativi (i comportamenti dell’Unità che ha paura di affrontare quel tema, per cui aveva già allontanato Pasolini). Braibanti non rinnega, non scende della sua torre (alcune poesie, dice Amelio, sono e restano straordinarie), diventa un intellettuale fuori dal coro, severo, eretico come può esserlo quando si tocca il tema di quell’amore che non può dire il suo nome (Oscar Wilde). Elio Germano è il giornalista che deve combattere contro il suo direttore, è il terzo attore perfettamente calato in quegli anni senza la pignoleria della ricostruzione solo storica, bensì morale e civile. Per questo oggi il film deve essere visto e discusso dai giovani, soprattutto nella sproporzione tra la disponibilità ad amare di Braibanti e la negazione stessa del valore affettivo da parte della volgare opinione detta comune, ratificata dalla sentenza del tribunale.
Braibanti (morto a 92 anni il 6 aprile 2014) esce dal film come un eroe che forse non avrebbe voluto tanto clamore, anzi meglio il silenzio, la pausa, l’atmosfera. Giovanni-Ettore morì dimenticato nel 2018, ma c’è stato uno spettacolo teatrale su Braibanti e un film documentario che si trova su Sky e Netflix.
Il signore delle formiche di Gianni Amelio con Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Sara Serraiocco, Leonardo Maltese, Anna Caterina Antonacci, Rita Bosello, Davide Vecchi, Maria Caleffi, Roberto Infurna, Valerio Binasco, Luca Lazzareschi, Alberto Cracco, Elia Schilton, Giovanni Visentin, Fabio Zulli, Alessandro Bressanello.