È con fiore all’occhiello, profumatissimo e luccicante, che si continua a celebrare il 50º anniversario del Franco Parenti. Il Piccolo Teatro Strehler, l’8 e il 9 settembre, ospita Gardenia – 10 years later, un cult internazionale, condito di melancolica tenerezza LGBTQ+. La regia è di Frank Van Laecke e Alain Platel, da un’idea partorita da Vanessa Van Durme, protagonista tra le protagoniste sulla scena del Piccolo
Un minuto di silenzio dopo l’inizio dello spettacolo. Sembra una sobria accortezza dedicata all’improvvisa scomparsa di Sua Maestà la Regina Elisabetta II, notizia ferale annunciata poco prima che il sipario venga sollevato. Invece no: parte inclusiva della rappresentazione sta proprio in questo silenzio per metà elegiaco, per metà ridicolo, partecipato e astretto insieme.
Come richiesto simpaticamente da Madame Vanessa Van Durme, gli spettatori si devono alzare, perché – ironia della sorte – tutti commemorino la dipartita di una drag queen passata a miglior vita. Prima di venire trascinati in un racconto mite e nostalgico, la maîtresse informa il pubblico che demain le Cabaret Gardenia ne sera plus, ed è così che sette anonimi e attempati signori, ormai neo-disoccupati, si preparano con scandita lentezza a trasformarsi per il loro ultimo debutto.
Lustrini, gambaletti color carne, parrucche cotonate e ciglie finte si alternano a uno ritmo spezzato di arie operistiche, rimandi battiateschi e dalideschi, con l’aggiunta di freddure volutamente sconce e gay-friendly.
Si potrebbe pensare a un “ultimatum cabarettistico” per strappare un’ultima risata prima che il sipario si chiuda per sempre. In realtà quella a cui si assiste è una testimonianza vera, meravigliosa e universale sull’intimità dolorosa e consapevole che tutti in questa vita soffriamo, e alcuni più di altri, anche e soprattutto quando si è costretti a sorridere davanti a un pubblico “che sta stretto”, anche e soprattutto quando su un palco di maturate incertezze si deve dare prova di una sfrenata e coatta ironia, morendo però dentro dalla tristezza.
La crasi tra le coreografie di Alain Platel e la curatela musicale di Steven Prengels è ben riuscita. Ogni istante è l’allegoria di un’esperienza artistica che si chiude, una carezza malinconica sul passato professionale di chi, esibendo la maschera di un sé intermittente, ha eluso un volto che non gli apparteneva.
In scena fiorisce una Gardenia di sbiadita bellezza, un fiore immaginario che sette drag queen si passano, di mano in mano e di cuore in cuore, per smettere, a turno, di disperarsi del proprio Sunset Boulevard.
Tra le scene più belle e potenti vi è una lectio vitae tra un giovane gogo-boy e le sue mature ziette; uno scambio generazionale sul senso della vita, consolata dai dispiaceri, come sempre, per mezzo dell’amore, in tutte le sue forme o identità.
Dopotutto il realismo di questa pièce è disarmante e schietto: non c’è modo di alleggerire la pesantezza ciclica del tempo, non esiste cerone o contouring che possa coprire o modellare ciò che l’amore (per chi ci crede ancora) fa rinascere dalle ceneri dello sconforto.
Non in ultimo, il vero miracolo di questa Gardenia in continuo appassimento e in perenne infiorescenza è che ogni cliché homosex, pur essendo alla base della trama, è come se venisse annullato per lasciare spazio alla profondità di un dramma che tutti hanno dignità di vivere come preferiscono, un dramma così diverso e così uguale chiamato vita.
L’immagine d’apertura è tratta da https://teatrofrancoparenti.it/spettacolo/gardenia-10-years-later/