Un monumentale Ricardo Darin è nel film di Santiago Mitre il giudice Julio Strassera, che solo due anni dopo la caduta della Junta fascista e sanguinaria istruì il processo contro i generali guidati da Videla e i loro tanti complici. Scegliendo la via del thriller giudiziario, intercalato da notazioni ironiche sui suoi “eroi imperfetti”, il regista alterna immagini di fiction e di repertorio dell’epoca. In una ricostruzione storica insieme empatica e drammatica: Il ritratto della presa di coscienza di un popolo
Suggeriamo a tutti, ma in particolare a chi non crede più che le grandi tragedie della storia, gli eventi politico-sociali che hanno caratterizzato il Novecento possano riuscire a emozionare al cinema, di andare a vedere Argentina 1985 di Santiago Mitre, che racconta il primo e fondamentale processo, istruito dal governo democratico di Raul Ricardo Alfonsin vincitore di elezioni regolari due anni dopo la resa del governo golpista, ai militari fascisti che avevano insanguinato per sette anni il paese, causando trentamila desaparecidos, probabilmente tutti, o quasi, morti.
Passato all’ultima Mostra di Venezia, curiosamente il film esce nelle sale quasi in contemporanea a Tutta la bellezza e il dolore, il Leone d’Oro 2022 di Laura Poitras. In realtà molti in Italia hanno già potuto vederlo sulla piattaforma Prime Video, dov’è disponibile dallo scorso ottobre, così come in Argentina, dopo una breve apparizione iniziale nei cinema, e in tanti altri paesi. Scritto da Mitre insieme a Mariano Llinás, regista di uno dei film argentini più interessanti degli ultimi anni (La Flor, 2018), racconta l’impresa civile,
perché di impresa davvero si è trattato, del navigato procuratore Julio Strassera (un monumentale Ricardo Darin): riunito con l’aiuto del suo assistente Moreno Ocampo (Peter Lanzani) un team di avvocati giovani, impegnati, entusiasti, decisi a far giustizia della barbarie degli anni precedenti, con pazienza e resistendo ad ogni minaccia e ricatto degli uomini della Junta, ancora presentissimi e potenti, e di tanti loro complici che temevano di veder rese pubbliche le loro colpe, riuscì a costruire l’impianto dell’accusa ai massimi responsabili della dittatura, i generali Jorge Rafael Videla e Leopoldo Fortunato Galtieri, e l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera in primo luogo, con prove schiaccianti.
Ma soprattutto risultarono decisive le dolorose, raccapriccianti testimonianze processuali delle vittime e dei loro parenti, trasmesse oltretutto in diretta televisiva. Ed è questo uno degli aspetti che avvicina il film a quelli ispirati a precedenti, analoghe tragedie collettive, primo tra tutti Vincitori e vinti sul processo di Norimberga ai gerarchi nazisti. Ma la capacità narrativa degli autori del film, e sarebbe giusto dire pure degli attori, sta nel riuscire a rendere il racconto dell’evento fondativo della democrazia nel loro paese una riflessione universale, che ha a che fare con il presente e con la storia di altre dittature. Proprio come
nell’Italia del dopoguerra, anche nell’Argentina degli anni Ottanta le contraddizioni di un sistema sociale avvelenato dalla mentalità fascista di funzionari, politici, amministratori e militari, sostenuta (o poco contrastata) da buona parte della classe media – lo dice Ocampo in uno dei primi incontri con Strassera – e delle autorità religiose, sono nervi scoperti sui quali riflettere, in grado di porre le basi per
comprendere i difficili anni successivi al processo, che riverberano ancora sul presente.
Argentina 1985, viaggio a ostacoli nella memoria e nella coscienza dell’Argentina, scelta subito la via del thriller giudiziario, ne bilancia la tensione facendolo attraversare, sembra incredibile dirlo, da venature ironiche e risvolti personali, individuali, che rendono più vicino il ritratto dei protagonisti, primo fra tutti il
66enne e fascinoso Darin, che l’Oscar l’ha vinto nel 2010 grazie alla sua interpretazione di Il segreto dei suoi occhi di Juan Josè Campanella, altro film giudiziario in bilico tra il tumultuoso presente argentino e il passato attraversato dalle angosce della dittatura. E anche lì, come stavolta, gli toccava una figura di eroe “imperfetto” e quindi reale, empatico. Lui e gli altri protagonisti, prima di rappresentare qualcosa di più
grande, di diventare simboli collettivi, sono persone con i propri limiti, errori, problemi di relazione.
In qualche modo riprendendo l’esempio di Pablo Larraín in No (2012), operazione storico politica in quel caso riguardante la dittatura cilena di Augusto Pinochet al tramonto, con la stessa intelligenza Mitre passa dalle proprie riprese alle immagini di repertorio del processo, prese dalla televisione, e sfumando sempre più il confine fra ciò che è reale e ciò che non lo è, dimostra che la discontinuità tra finzione e realtà, nel film sempre ben distinte e riconoscibili, rafforza il peso, la potenza politica (e storica) di un evento tanto straordinario come quel processo. E allo stesso tempo rilancia l’enorme coinvolgimento emotivo che il cinema può generare, anche a distanza di tanto tempo (quasi 40 anni) e latitudine geografica.
Lo si vede nell’ultima, straordinaria sequenza in cui Darín/Strassera legge per intero la vera arringa del processo, fino alla frase di chiusura, divenuta celebre: «Signori giudici, vorrei rinunciare all’originalità, vorrei usare una frase non mia poiché già appartiene a tutto il popolo argentino “Nunca más!”». Ovvero “mai più”: e il riferimento era allo slogan che indicò nell’attivismo popolare argentino la reazione al rapporto della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas redatto nel settembre 1984 e preludio alla stagione aperta da quel processo. Mitre, che oggi ha solo 42 anni, dice di essere partito da lì per scrivere il suo film. Da quel ricordo (collettivo) del quale ha memoria da bambino: «il boato dell’aula del tribunale, l’emozione dei miei genitori, le strade finalmente in grado di festeggiare qualcosa che non fosse un mondiale di calcio, l’idea di giustizia come un atto di guarigione». E il cinema, ri-presentando nel presente gli eventi, agisce in qualche modo sulla memoria contribuendo alla sua ridefinizione collettiva.
Argentina 1985, di Santiago Mitre, con Ricardo Darin, Peter Lanzani, Alejandra Flechner, Laura Paredes, Norman Briski, Claudio Da Passano, Carlos Portaluppi