In una Cina minore, periferica (nord-ovest, quasi al confine con la Mongolia) due contadini si sposano, quasi costretti dalle famiglie. E nel raccontare l’unione di questi “ultimi”, che subiscono regolarmente le decisioni degli altri, in “Terra e polvere”, passato alla Berlinale 2022, il regista Li Ruijun porta in primo piano un mondo lontanissimo dal lusso e dal potere di Pechino e Shanghai. E un’umanità capace di vivere sentimenti fortissimi, forse perfino più veri di quelli che attraversano le metropoli
Ma (Wu Renlin) è l’ultimo della famiglia e tutti lo chiamano fratello Ferro, perché è il più buono e gentile, quello che non si ribella mai a niente. I tre fratelli maggiori (non a caso soprannominati fratello Oro, fratello Argento e fratello Cuoio) sono abituati da sempre a decidere anche per lui. E così, senza nemmeno chiedergli un parere, scelgono per lui una moglie che ritengono adeguata, Guiying (Hai-Qing), una poveretta menomata e claudicante, dallo sguardo mesto di chi è abituata a subire offese e maltrattamenti. Un matrimonio combinato che mette insieme due solitudini, sullo sfondo di una Cina rurale che ci appare feroce nella sua totale indifferenza ai sentimenti degli individui.
Però Guiying e Ma sono capaci eccome di sentimenti, anche se non possiedono le parole per dirlo. E se da una parte accettano passivamente tutto ciò che il caso e il destino (e i loro spesso avidi famigliari)
decidono per loro, dall’altra sono in grado ogni giorno di riempire di senso, e di amore e dolcezza i gesti della vita quotidiana, la fatica del lavoro, il passare delle giornate, il trascolorare delle stagioni.
Lontano da Pechino, da Shanghai e dalle altre metropoli che rappresentano la Cina modernissima che corre incontro al futuro, c’è una Cina poverissima e rassegnata, sottomessa ai ritmi pacati della terra, ai tempi dell’agricoltura di una volta, quella che non possedeva macchine, che non aveva ancora conosciuto l’industrializzazione. Un piccolo mondo antico (siamo nella provincia del Gansu, nel nord-ovest della Cina, quasi al confine con la Mongolia) dove la vita quotidiana è fatica e smarrimento, e dove i più deboli sono
destinati a restare indietro, a essere usati e sfruttati senza pietà. Eppure, uno spazio per l’amore, per l’onestà e il rispetto continua a esserci.
E proprio questo ci vuole raccontare il film di Li Ruijun, incappato probabilmente nella censura del regime di Xi Jinping. Era visibile sulla piattaforma streaming cinese, oltre che nelle sale, ma da un giorno all’altro è sparito. Come se qualcuno si fosse d’improvviso accorto che dietro il bozzetto di vita rurale c’era ben altro. In effetti, Li Ruijun non si mette neanche per un istante a fare un discorso apertamente politico, ma questo non gli impedisce di mostrare in tutta la sua crudeltà gli effetti nefandi della politica governativa nelle zone rurali, dove un presunto progresso passa esclusivamente dal lavoro delle ruspe, che abbattono una dopo l’altra le case di interi villaggi, per costruire poco più in là alveari di cemento dove un contadino
non è in grado di vivere. E tantomeno il suo asino. Forse questi contadini poverissimi, che vorrebbero solo continuare a essere ciò che sono, rappresentano una sfida silenziosa e potente alla narrazione prevalente, imbevuta di ottimismo nazionalista, di un miracolo economico sempre più travolgente e cinico.
Un film di terra e di polvere, come recita benissimo il suo titolo, passato al Festival di Berlino 2022. Un film che è una struggente lezione di umiltà. E di poesia. Perché il senso della vita – cosa sempre complicata da immaginare e definire – può trovarsi racchiuso anche in un mattone di fango essiccato al sole. E nella caparbia, commovente volontà di essere sé stessi, di difendere ciò che si vuole, ma soprattutto ciò che si è.
Terra e polvere, di Li Ruijun, con Wu Renlin, Hai-Qing, Guangrui Yang, Dengping Zhao, Cailan Wang