Il nuovo biopic sulla più strana e ribelle delle sorelle Bronte, opera dell’attrice anglo-australiana Frances O’Connor, qui al debutto come regista, intreccia la scrittura del suo capolavoro con molti episodi della vita reale della scapestrata protagonista (la brava Emma Mackey). Ispirandosi ad altre operazioni cine-letterarie recenti (da Jane Campion a Patricia Rozema), l’autrice tenta di staccarsi dalle regole codificate di tante biografie. Il risultato a tratti conquista ma non convince del tutto
Nello Yorkshire degli anni Quaranta del 1800, nello sperduto paesello di Hawort, vivono tre
sorelle destinate a imperitura fama: Charlotte, Anne ed Emily Brontë, rispettivamente autrici di
Jane Eyre, La signora di Wildfell Hall e Cime tempestose. Proprio su Emily, la più strana e
geniale delle figlie di un severo pastore protestante di origini irlandesi (che si cambiò il
cognome da Prunty a Brontë in onore dell’ammiraglio Nelson, insignito del titolo di duca di
Bronte da re Ferdinando III di Sicilia), si concentra questo biopic che tenta di giocare la carta
del melodramma in chiave contemporanea, riuscendo solo in parte a soddisfare le
aspettative.
Emily la strana, Emily la ribelle, già minata dalla tisi ma ancora piena di sovrumana energia, ci
viene talora mostrata seduta allo scrittoio con la penna in mano, ma per lo più la vediamo
scapestrata protagonista di infantili scorrerie ai danni dei vicini di casa, insieme al simpatico e
dissoluto fratello Branwell, o fra le braccia possenti del nuovo pastore della comunità, il
fascinoso William Wieghtman, fra uno scroscio di pioggia e un altro, uno sguardo
fiammeggiante, un momento di estasi amorosa, un doveroso (per l’epoca) richiamo alle
regole della decenza e della morale.
È un’opera prima Emily, firmata da Frances O’Connor, attrice anglo-australiana già
protagonista di Mansfield Park, dedicato alla figura di un’altra celeberrima autrice inglese,
Jane Austen. E proprio questo film, firmato dalla canadese Patricia Rozema e costruito
sovrapponendo trama e personaggi del terzo romanzo di Austen con la vita della scrittrice
stessa, a partire da brani tratti dalle sue lettere e dai diari, sembra in qualche modo il modello
seguito. O’Connor cerca infatti di “spiegare” la nascita di un capolavoro come Cime
tempestose mostrandoci scene e scenette della vita della sua autrice, intrecciando e
sovrapponendo parole e immagini, passioni carnali e paesaggi bucolici.
Sicuramente, prima di apprestarsi all’opera deve aver visto e studiato Bright star di Jane Campion (più o meno stessa epoca, stessa morte per tubercolosi, per una volta maschile, quella del poeta John
Keats), però deve aver avuto in mente di certo anche la Greta Gerwig di Piccole donne, col
suo tentativo spregiudicato (e in quel caso riuscito) di prendersi ogni possibile libertà in una
ricostruzione d’epoca che appare in gran parte filtrata dalla nostra attuale sensibilità.
In questo intreccio di passato e presente, irriducibili passioni ridotte a bozzetti oleografici e
tentativi un po’ goffi di mostrare la scrittura nel suo farsi, tra tentennamenti e slanci, forse
quello che davvero è mancato è il coraggio di andare fino in fondo, staccandosi radicalmente
dalle regole codificate del biopic in costume. E così il personaggio di Emily, grazie anche al
volto bello ed espressivo ma ben poco ottocentesco della pur brava Emma Mackey, riesce a
tratti a conquistarci ma mai a convincerci del tutto
Emily, di Frances O’Connor, con Emma Mackey, Oliver Jackson-Cohen, Fionn Whitehead,
Alexandra Dowling, Amelia Gething