In “Animali selvatici”, opera del regista Palma d’Oro a Cannes 2008 con “Quattro settimane, tre mesi, due giorni”, un bimbo diventa muto per un terribile incontro. I genitori si dividono tra l’ansia di proteggerlo e la smania di farlo crescere forte. E nel paesino in Transilvania dove abitano prevalgono l’intolleranza e la caccia a un capro espiatorio. Un film forse troppo razionale ma con ottimi attori
Rudi, protagonista di Animali selvatici di Cristian Mungiu (Palma d’oro a Cannes 2008 con 4 settimane, tre mesi, due giorni, ha otto anni e vive in un villaggio della Transilvania, al limitare di un bosco popolato di orsi e leggende. Un giorno nel tragitto da casa a scuola vede qualcosa che lo spaventa al punto da ridurlo in una condizione di attonito mutismo. Sua madre Ana non trova di meglio che proteggerlo a qualunque costo, suo padre Matthias – costretto a tornare al villaggio dopo un diverbio finito a pugni con il responsabile del mattatoio dove lavorava in Germania – è convinto che l’obiettivo fondamentale sia un altro: farlo diventare un uomo, quindi abituarlo al pericolo, allo scontro, alla gestione della paura. Insomma, impedire che cresca come una femminuccia.
Peccato che le uniche figure positive all’interno di questo angosciante racconto corale siano proprio le due donne che gestiscono il locale panificio e che cercano, nonostante tutto, di portare avanti un progetto economico, un’idea di progresso e di inclusione. Una scelta che si concretizza nella decisione di assumere tre operai provenienti dallo Sri Lanka e che provocherà una vera e propria levata di scudi da parte degli abitanti del villaggio, che riescono a sentirsi invasi e a reagire in un modo semplicemente assurdo; tenendo anche conto che molti di loro nemmeno sono rumeni ma ungheresi, e che dunque sanno cosa vuol dire essere stranieri in un paese che vuole il tuo lavoro ma non ti vuol riconoscere il diritto a un’esistenza libera e dignitosa.
In fondo, tutti hanno paura, esattamente come il piccolo Rudi. E anche se molti, a differenza del giovanissimo protagonista, parlano fin troppo, in realtà a ben guardare sono tutti afasici, incapaci di dire a sé stessi e al mondo di che cosa hanno davvero paura. E quindi risultano fin troppo propensi a girare nella notte a caccia di un capro espiatorio qualsiasi, preferibilmente con la pelle di un colore diverso dal proprio.
Un film terso ed enigmatico, capace di dare conto delle nuove tensioni che percorrono l’Europa ma anche dei tanti conflitti antichi che non hanno mai trovato una soluzione definitiva. Un’idea di cinema forse troppo controllata, che rinuncia quasi del tutto a giocare nel campo delle emozioni e pretende di esporre ragionamenti, più che raccontare storie e personaggi. Per fortuna, l’intensità degli attori supplisce a qualche rigidità di sceneggiatura e ci lascia un film che vibra, colpisce e convince.
Animali selvatici di Cristian Mungiu, con Marin Grigore, Judith State, Macrina Barladeanu, Orsolya Moldován, Andrei Finti.