Nel classico off Broadway “La fila” Israel Horovitz nel ’67 raccontava un evergreen, la smania di protagonismo del cittadino medio non solo americano. Oggi la ripresa con regìa di Le Moli
C’è una linea sottile che unisce Stephen, Fleming, Molly, Arnall e Dolan: la volontà di essere primi, il desiderio di sconfiggere il prossimo e imporsi nella quotidiana tenzone imposta dalla società.
Il loro fine esistenziale si fonda su dettami semplici quanto implacabili: affermarsi, prevalere, avanzare nella fila del consesso umano, in altre parole, vincere, vincere, vincere! Ma esattamente che cosa? E quanto potrà mai durare questa gloria terrena, questa posizione di privilegio conquistata a suon di sgambetti, spintoni, piccole astuzie, calcolate seduzioni?
Quando Israel Horovitz scrisse Line era il 1967, e il teatro dell’assurdo aveva già conosciuto i suoi fasti. Eppure la pièce dell’allora giovane attore-drammaturgo del Massachusetts, trapiantato a New York in cerca di fortuna, si guadagnò in breve tempo una crescente popolarità tanto da essere, ad oggi, lo spettacolo più longevo nella programmazione dei teatri off-off di Broadway.
Il motivo di tanta fama è forse da cercare nella capacità dell’atto unico di Horowitz di stigmatizzare le aberrazioni generate da un sistema, quello capitalista (a stelle e strisce ma non solo), in grado di trasformare l’essere umano, anche nella sua forma più ordinaria, in un nemico per i propri simili, un diretto competitor, un ostacolo nella corsa al successo.
La Fondazione Teatro Due di Parma forte della collaborazione di Walter Le Moli – il primo che portò in Italia quest’opera, commissionando dapprima una traduzione e poi mettendola in scena nel 1986 – cerca di tener fede alla dimensione scanzonata e dissacrante dell’originale pur concedendosi qualche variazione.
La più evidente riguarda i costumi che da popolari diventano elegantissimi a sottolineare come la faida che scoppia tra i personaggi sia priva di ogni motivazione ammissibile: nessun istinto di sopravvivenza, nessun conflitto sociale anima il feroce agonismo, solo il desiderio di prevaricazione.
Una trovata, questa, che se da una parte aumenta il coefficiente grottesco della rappresentazione (le risse, le smorfie, perfino gli amplessi risultano amplificati dai vari cravattini, dagli smoking tirati a lucido, dalle camicie inamidate) dall’altra rischia di appiattire un po’il tutto trasformando un problema sistemico in un capriccio tra macchiette.
Gli interpreti, dal canto loro, non sono tutti alla stessa altezza (né la direzione attoriale sembra riuscire a valorizzare o a tamponare dove necessario) e, intralciati da scelte registiche non sempre brillanti, finiscono per conferire allo spettacolo una certa aria lo-fi, sicuramente in linea con alcune essenziali produzioni off off di Broadway, ma che lascia tuttavia un po’ disorientati.
Il risultato finale è un’ora piacevole, in cui però non si vede balenare il guizzo, l’abilità di restituire tutto il peso specifico di un’effervescenza pungente, incisiva solo se rifinita a regola d’arte.
La fila (Line) di Israel Horowitz, a cura di Walter Le Moli. Fino all’8 marzo al teatro Menotti