Le “Metamorfosi” ovidiane rilette in musica dall’estetica cortese del ‘300. Ritmi tanto arditi si vedranno solo agli inizi del ‘900
L’amore di Narciso per sé solo e di Arianna per Teseo, il ratto di Proserpina, la bellezza inattingibile di Diana. Sono solo alcuni dei miti protagonisti del concerto Metamorfosi Trecento che l’ensemble La Fonte musica ha proposto nell’ineguagliabile contesto di San Maurizio Maggiore sabato scorso.
Metamorfosi perché si tratta di riletture trecentesche, e quindi in chiave “amor cortese”, di narrazioni che in origine erano semplice manifestazione della verità di un mondo politeistico.
«Solitamente la riscoperta del mondo classico è associata totalmente all’Umanesimo. Questi brani testimoniano, invece, una verità diversa» mi spiega Michele Pasotti, direttore e fondatore dell’ensemble. «Già nel ‘300 la mitologia greca tornò in auge nell’ambiente cortese italiano e francese grazie alle traduzioni e alle volgarizzazioni dell’opera più emblematica di Ovidio: le Metamorfosi».
Due mondi, quello romano e quello petrarchesco, distanti più di un millennio ma pressoché d’accordo sul tema amoroso. «L’idea ovidiana dell’amore come il più potente agente di metamorfosi non si discosta molto dalla prospettiva cortese».
Quando il liuto sotto le dita di Pasotti inizia a risuonare nell’Aula delle monache, ci si immerge in un mondo sconosciuto, che ci parla con un linguaggio ancor più insospettabilmente ignoto di molte avanguardie contemporanee. «I brani che abbiamo suonato stasera non sono proprio un easy listening. I più grandi compositori come Guillaume de Machaut, Philippe de Vitry, Francesco Landini o Jacopo da Bologna ricercarono una raffinatezza musicale che non era assolutamente la norma del tempo. La loro era vera e propria musica sperimentale: linee melodiche tutt’altro che scontate, notazioni musicali portate ai limiti per l’epoca, ritmi di un’arditezza tale che non si vedrà nulla di simile fino agli inizi del ‘900.»
Difficoltà di ascolto solo iniziali, però. L’ensemble La Fonte musicale riesce a guidarti con sicurezza all’interno di questo universo sonoro inesplorato con una qualità esecutiva notevolissima. Quello che colpisce maggiormente è l’ ”andare insieme così insieme” dei musicisti, sempre più raro nei concerti.
Ottimi Efix Puleo alla viella da braccio e Marco Frezzato alla viella da gamba, come anche le due soprano Francesca Cassinari e Alena Dantcheva. Superlativo il tenore Gianluca Ferrarini, capace di modulazioni vocali impressionanti.
Questo basterebbe ampiamente a rispondere alla domanda “perché suonare ancora la musica antica oggi?”. Ma c’è anche una chiave di lettura più semplice ma non meno profonda. «Tutti riteniamo normale andare a vedere dal vivo un quadro del Caravaggio» continua Pasotti.
«Così come siamo abituati alla fruizione dell’opera d’arte visiva antica, così è fondamentale avvicinarsi anche al mondo dei suoni se non vogliamo perdere la nostra eredità musicale».