Chiude in bellezza Milano Musica (oltre 7000 gli spettatori) presentando stasera “An Index of Metals” ad Hangar Bicocca e sabato “Professor Bad Trip” al Conservatorio. Due brani leggendari del compositore goriziano che – secondo il pianista Jean-Luc Plouvier – è stato il più scandaloso e trasgressivo della musica della fine del XX secolo. Un piccolo festival nel festival all’insegna di quell’ “Ascolto Inquieto” titolo programmatico della stagione 2024
Questa sera (5 giugno) l’appuntamento clou, penultimo di stagione, al Pirelli HangarBicocca, con un brano avvolto nella leggenda: An Index of Metals di Fausto Romitelli, video-opera per soprano, ensemble, elettronica e multiproiezione. Avanguardia vera, non autoproclamata, che ventun anni fa (2003) indicava una strada che molti tutti hanno ammirato ma non molti seguito. Sabato 8 giugno, il finale, nella Sala Grande del Conservatorio, con la seconda parte di una Romitelli Celebration che il compositore più citato dalle libere menti aperte, merita tutta. Si esegue un altro ”must” romitelliano, Professor Bad Trip, con le tre lezioni impartite dall’Ensemble del Conservatorio in un esplicito passaggio di consegne alle generazioni ch’erano appena nate quando Fausto Romitelli concludeva, a quarant’anni, il suo transito terrestre (2004).
Morire giovani – Mozart, Schubert, Hendrix, Brian Jones – è una garanzia di vita lunga e luminosa, ma la presenza della musica di Romitelli ancor oggi è dovuta alla straordinaria combinazione di opposti: da una parte l’immediatezza assoluta della cultura anche (ma non solo) “rock”, dall’altra l’indagine sofisticata alle radici del Suono. Non è senza significato che Romitelli sia stato tenuto affettuosamente sotto le ali di compositori come Dufourt e Grisey, gli spettralisti francesi che hanno scelto di entrare nelle fibre della materia musicale. Senza rinunciare al rigore della scrittura, Romitelli è la combinazione di quegli opposti. Il “preferito fra tutti i ribelli”, come scrive Jean-Luc Plouvier
Fausto Romitelli (1963 – 2004)
Per Milano Musica siamo ai bilanci. Dal 23 aprile il festival ha sparso 25 appuntamenti ai quattro angoli della città, secondo la pratica multisede che piace molto: Teatro alla Scala, Auditorium di Milano, Conservatorio, Fabbrica del Vapore, Meet Digital Culture Center, Orto Botanico di Brera, Pirelli HangarBicocca, Elfo Puccini, Teatro Menotti. Tutti concerti di taglio diversissimo, grandi e piccoli, dimensionati allo spazio, pensati per ogni sede, farciti di 7 prime esecuzioni assolute, 11 prime italiane, tra cui una commissione e cinque co-commissioni.
Alla fine, alla stagione 2024 avranno assistito 7.500 persone. I numeri sono rassicuranti ma ancor più interessanti le motivazioni. Spazi attraenti di per sé, come il Teatro alla Scala, è logico che alzino la percentuale di riempimento sala a più del 90%. Ma è incoraggiante che i tassi di presenza del pubblico siano più alti (fino all’85%, e al 76 % contando le due recite all’Auditorium) quando in programma ci sono pezzi mai ascoltati. La missione di un festival contemporaneo è giusto questa.
Il bilancio artistico merita il segno più grazie a una serie di eventi che hanno lanciato segnali di vivacità nel bilanciamento fra storia e novità, bilanciamento che Milano Musica sente il dovere di rispettare da quando è nato, 33 anni fa.
Storia pura, purissima, era quella risvegliata dal primo appuntamento, al Teatro Menotti (23 e 24 aprile): Tierkreis di Karlheinz Stockhausen è un pezzo inossidabile, che nella sua concezione – 12 melodie ispirate ai segni dello zodiaco –, nell’organico – flauto, clarinetto, pianoforte –, nella scrittura, esalta uno dei risultati di più concentrata essenzialità nel pensiero di Stockhausen. A servirlo bene era la leggerezza di uno spettacolo fatto di figure senza corpo, di materiali volatili, di luci scavate nel buio, di invenzioni che Luciano Gottardi, Matthias Träger e Maria Scaglia, autori e attori, in fondo hanno tratto dalla materia semplicissima di cui sono fatti i sogni del teatro: teli, sagome, vento, suoni. Uno spettacolo migliore di quello che lo stesso Stockhausen aveva pensato per Musik im Bauch, dal quale Tierkreis deriva.
Il Foyer Toscanini della Scala è risultato ideale per far scorrere una carrellata di pezzi nuovi e strumenti eccentrici: il Quatuor Béla con Andare di Francesca Verunelli, con l’incredibile String Quartet di Ruth Crawford Seeger (1901), con Kurtág e Xenakis; i sassofoni del Sigma Project Quartet per Posadas, Verunelli, Xenakis e Movio; il sax, la fisarmonica e il contrabbasso del Trio Feedback su brani di Silvia Borzelli, Giorgio Netti ed Helena Tulve; il sax, le percussioni e il pianoforte del Trio Abstrakt con Vuoi che perduti di Marco Momi e la prima assoluta di Giorgio Netti: Pulsar; la viola della sempre strabiliante Geneviève Strosser con Trema di Holliger e otto gioielli di Kurtág. Anticipazioni, questi ultimi, di una delle serate più notevoli che la Scala – non solo Milano Musica – abbia accolto: il recital di Filippo Gorini (9 maggio) con sedici estratti da Játékok di Kurtág, 25 minuti di pensiero distillato sul pianoforte. Pensiero forte, inversamente proporzionale alla brevità dell’esprimersi. Gorini è un musicista di intelligenza e sensibilità ben strette fra loro: se il pezzo della giovane Niharu Ogura (1996), Sillage de lignes, faticava a segnalarsi per originalità, la Sonata D 960 di Schubert si è sciolta in riflessioni e respiri che esaltano le nuove generazioni nell’appropriarsi del Repertorio in una chiave “possessiva”, antivirtuosistica, che fa riflettere sul concertismo come finora l’abbiamo vissuto.
Alan Brilliard alle prese col suo clarinetto basso neillo spazio di Hangar Bicocca
In quella “permanente Anselm Kiefer” ch’è il Pirelli HangarBicocca, ai piedi dei Sette Palazzi celesti e fra i grandi pannelli di sempre inestricabile lettura, si sa che il pubblico di Milano Musica si abbandona a occhi chiusi. Ma il programma di mercoledì 22 maggio, con il notevolissimo Ensemble Multilatérale, ha riservato vere sorprese. Lì è iniziato l’omaggio a Romitelli, con Amok Koma, brano per nove strumenti ed elettronica del 2001: 12 minuti di senso della sintesi che ancora fanno lezione. Accanto all’attesa commissione di Milano Musica a Pasquale Corrado – Eterno vuoto per due voci femminili, ensemble ed elettronica – ha stupito Art of Metal II di Yann Robin: un pezzo per clarinetto contrabbasso che il colosso Alain Billard governava con respiro circolare e un’elettronica accuratissima proiettava nello spazio; quasi una deflagrazione dell’assolo come categoria dell’Improvvisazione. E sorprendenti per coerenza, controllo della materia e libera vocalità le Visions di Matteo Franceschini. Il pezzo più intimamente post-romitelliano della serata.
Nessuna stagione di Milano Musica può stare senza Les Percussions de Strasbourg, sestetto di giovani (oggi), che conquista sempre e comunque. Ma il 24 maggio, alla Scala, la materia c’era e forte: anche risolvendo problemi logistici non indifferenti (disporre le sezioni di percussioni attorno al pubblico, per rispettare le esigenze spaziali di uno dei due brani), Le Percussions hanno tenuto in pugno una sala stracolma con le Pléiades di (1978-79) e Persephassa (1969)diYannis Xenakis. Capolavori di architettura su strumenti “elementari”.
Les Percussions de Strasbourg in azione alla Scala
L’idea di unire antichi film a nuova musica dal vivo, coronata da successo l’anno scorso con Metropolis di Fritz Lang, si è rinnovata il 29 maggio nel Meet Digital Culture Centre con Nosferatu di Murnau. Questa volta, a tenere il pubblico col fiato sospeso erano le astrazioni sonore di Filippo Perocco per soprano, sax, fisarmonica, chitarra elettrica, pianoforte e sintetizzatori. Un flusso di ben concertate vibrazioni che, paradossalmente, riusciva a ridurre il tempo fra noi e il capolavoro di Murnau, riducendo le ingenuità e caricando il film di nuova suspence.
Concludere con un omaggio a Romitelli, a vent’anni dalla morte, era inevitabile. Lo spirito della sua musica aleggiava anche prima di ascoltarla.
In copertina: Milano Musica / Hangar Bicocca. La foto di Fausto Romitelli è di Vito Chamla