Un regista iraniano, un rider a Torino: così rinasce Ladri di biciclette

In Cinema

“Anywhere Anytime” è l’opera prima del 41enne Milad Tangshir, che dalla natia Teheran si è trasferito in Italia parecchi anni fa. Come nel film Oscar del 1948 di Vittorio De Sica, al suo protagonista, Issa, che sopravvive nei nostri tempi duri facendo il rider, rubano il preziosissimo strumento di lavoro a due ruote. Precipitandolo nella disperazione. Senza negare l’ispirazione al grande classico, il regista e sceneggiatore trasporta i temi e i drammi del cinema sociale ai giorni nostri. Con freschezza e sensibilità, realizzando un film pieno di energia e di rabbia, capace di coinvolgerci e interpellarci

Torino. Oggi. Issa, il protagonista di Anywhere anytime, opera prima di Milad Tangshir, è un giovane clandestino. Un immigrato senza diritti né certezze. Licenziato dal suo faticoso (ma ahimè prezioso) lavoro tra le bancarelle di un mercato, si ritrova sperduto, in balia dei capricci del caso e dei tanti datori di lavoro fin troppo pronti a sfruttare la sua precaria situazione. Con l’aiuto di un amico, riesce a comprarsi a poco prezzo una bicicletta e comincia a lavorare come rider. Tutto sembra andare (faticosamente) per il meglio. Fino al giorno in cui, durante una consegna, la bicicletta gli viene rubata e la quotidiana fatica lascia il posto a un incubo che sembra non prevedere alcuna via d’uscita.

Il modello ovvio ed evidente è Ladri di biciclette di Vittorio De Sica (Oscar 1950), non solo nella scelta del soggetto ma anche in quel pedinamento alla Zavattini che contraddistingue l’intero film. Noi di Torino vediamo sempre e solo quello che ci consente di vedere l’occhio del protagonista, e lo sguardo del regista che lo segue e lo tallona, mentre Issa corre e pedala, si arrende e ci riprova, si arrabbia e si deprime, di giorno e di notte, in una frenesia disperata eppure vitale, sempre più stanca ma inesauribile.

Milad Tangshir, di origini iraniane, in Italia da diversi anni, per il suo primo lungometraggio che ha sctirro insieme a Daniele Gaglianone e Giaime Alonge, ha evidentemente deciso di non lasciarsi intimidire dai grandi modelli del cinema del passato, che sicuramente ha studiato ed elaborato, e ha scelto di rendere omaggio a uno dei capolavori del cinema italiano con un coraggio ai limiti della sfrontatezza. Il risultato è un film sorprendente per freschezza e precisione, capace di ascoltare la lezione dei classici e innervarla di sensibilità contemporanea, senza mai dare l’impressione di portare avanti un puro e semplice compitino, magari ben fatto ma alla fine inerte.

Anywhere anytime, appena passato alla Mostra di Venezia nella Settimana della Critica, è invece pieno di energia e di rabbia, e si rivela capace di coinvolgerci e interpellarci. Senza farci la morale, senza dirci che cosa dovremmo pensare, come dovremmo giudicare persone ed eventi, ma facendoci semplicemente percepire quello che succede, e quindi sentire la paura, la precarietà, l’affanno, lo sconforto.

E ancora e sempre la speranza. Quella che tiene in vita. Che spinge avanti, nonostante tutto.In una città che si estende davanti ai nostri occhi come una sorta di immenso alveare, contraddistinto da un incessante ronzio, come un brulichio costante di persone e cose, anime agitate alla ricerca di un angolo di pace, ancora e sempre ributtate nel vortice di un mondo che sembra aver smarrito la pietà. Insieme a un’idea di futuro sufficientemente larga da accogliere sguardi diversi, a tratti anche dissonanti, sfumature complesse e non necessariamente rassicuranti.

Anywhere Anytime di Milad Tangshir, con Ibrahima Sambou, Moussa Dicko Diango, Success Edemakhiota, Max Liotta

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