Diario americano: la prima vittoria di Harris

In diarioCult, Weekend

Attoniti, gli americani democratici assistono alla ripetizione in peggio della campagna di Trump, tra attentati e migranti accusati di mangiare gli animali domestici. Ma, comunque vada, Kamala Harris non arretra e lo sbugiarda sulla scia di altre donne, costate care all’ex presidente

È stata un’estate politica piena di sorprese e di colpi di scena. Gli americani si sono ritrovati dentro una specie di soap opera, cominciata con la figura pietosa fatta da Joe Biden al primo dibattito e continuata con la travagliata decisione di mettersi da parte che arriva tardissimo. Di Kamala Harris in realtà si sapeva poco, malgrado il suo ruolo di vicepresidente e la sua campagna presidenziale del 2020. Trump invece è il solito Trump e da lui non è arrivato molto di nuovo. Ha scandalizzato, questo sì, la sua scelta per il vicepresidente, J.D.Vance, un uomo di estrema destra che ha stilato, con altri compagni di merenda, il famoso Project 2025. È un lungo documento in cui si chiarisce in modo esauriente il programma politico che Trump dovrebbe seguire. Propone infatti, tra le altre cose: un sistema nazionale per monitorare le gravidanze; l’eliminazione del ministero dell’istruzione nazionale; l’eliminazione dei servizi federali che supportano bambini poveri; l’eliminazione dei diritti degli studenti LGBTQ e l’indebolimento delle leggi che impongono i diritti civili. In poche parole, una vera e propria dittatura, un controllo capillare su ogni cittadino.

Si sono sprecate anche le sue cattiverie su Kamala Harris: è stupida, non è nera, è una comunista, è una gattara, non è madre, ma ha semplicemente sposato un uomo divorziato con una figlia, per cui non dovrebbe avere opinioni sul diritto all’aborto, persino che voglia imporre di potervi ricorrere ‘ fino a dopo il nono mese’, cioé dopo che il bimbo è stato partorito.

Poi sono arrivati gli attentati. A costo di passare per persona cinica, mi sembra che il primo attentato a Trump, in cui è morto un uomo mentre lui si è graffiato un orecchio, gli abbia regalato il posto di ‘persona miracolata da Dio’, ‘persona forte, che non si ferma davanti a nulla, che non ha paura di niente’. Insomma, una specie di santone autoritario. Il suo commento invece riguardo il secondo attentato è stato: “Peccato, avrei voluto finire la partita di golf”, come se ormai questi atti violenti non siano che delle scocciature. La violenza e l’acquisto di armi da guerra, si sa, sono comunque parte della base di Trump, il quale ha già annunciato che se mai dovesse perdere, ci saranno ripercussioni gravi nel Paese.

Kamala Harris, di suo, propone un programma vago, poco chiaro; non ha una buona reputazione per quanto riguarda l’economia e il problema dell’immigrazione. La sua campagna elettorale è basata sull’idea di puntare sul futuro e non sul passato, di portare la nazione verso una direzione positiva, più equa. È una campagna elettorale rivolta alla classe media, da cui lei è cresciuta. Ma poco si capisce del suo programma politico, che sembra comunque molto più all’acqua di rose rispetto a quello del 2020. Lo ha attenuato per poter vincere negli stati di Pennsylvania e  Georgia, in cui chi vince quasi sicuramente vince tutto.

Comunque sia, durante il secondo dibattito, invece di Biden, Trump ha dovuto affrontare una donna forte, che non ha esitato a parlare chiaro e a distruggere con apparente semplicità il suo rivale. Ha trovato il suo tallone d’Achille e lui ci è cascato come un pollo: ha semplicemente riportato che nessuno va più ad ascoltarlo durante i suoi comizi perché la gente si annoia. Per un megalomane come l’ex presidente, è stata un’offesa profonda e si è preoccupato più di assicurare che non è vero che delle faccende molto più gravi sia nazionali che internazionali. Lei lo ha lasciato parlare, perché, si sa, si fa del male da solo, senza bisogno di molto aiuto. È in questo frangente, infatti, che ha sparato (forse un verbo corretto, in quest’estate piena di attentati) la “notizia” che gli immigrati haitiani mangiano cani e gatti.

E noi cittadini, allibiti, siamo rimasti incollati alla televisione per mesi, increduli che tutto questo stesse davvero avvenendo davanti ai nostri occhi. Abbiamo assistito a tante prime volte: la prima volta in assoluto che un candidato è stato vittima non di uno, ma di due attacchi in pochi mesi; la prima volta che un candidato, verso la fine della campagna elettorale, ha ammesso di non essere adeguato alla presidenza sono senza dubbio i principali.

Non è invece la prima volta che una donna danneggia Donald Trump, che lo piega in ginocchio. Una pornostar prima, Stormy Daniels, e una giornalista, Jean Carroll, poi, come noto, sono costate molto care all’ex presidente. Ma sono almeno 26 le donne che lo hanno denunciato per molestie e violenze sessuali. E adesso ha a che fare con Kamala Harris, l’unica persona (non l’unica donna: l’unica persona) ad avere avuto il coraggio di dirgli in faccia cose colme nessuno ha mai osato fare prima, ed è certamente una figura scomoda. Dopo tutto, è stata per anni procuratrice generale della California, e dunque sa usare toni e parole chiari e specifici per smontare qualsiasi avversario.

Comunque vada a finire, ma speriamo bene, mi sento già soddisfatta nel constatare che un predatore, un bugiardo, un corrotto, un megalomane macho e un violento sia stato finalmente messo al suo posto pubblicamente. Alla faccia del sesso debole.

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