Lo scorso 6 ottobre si è inaugurata l’opera site-specific “Le Masche” dell’artista Giulia Cenci, collocata nella radura del Chiot Rosa a Rittana (CN), nel contesto del progetto quadriennale Radis, a cura di Marta Papini. Un’opera dedicata alle masche, figure della tradizione contadina piemontese, che rende omaggio a tutte le persone emarginate per la loro diversità.
Ottobre, un mese velato di nuvole e mistero, i cui ultimi cenni dell’estate si fondono in una fitta nebbia che presagisce un lungo inverno. La prima settimana del mese ha inaugurato un’intervento artistico a Rittana, nel cuneese, in una radura di betulle chiamata Chiot Rosa.
Inserito nel contesto del progetto quadriennale Radis, dal piemontese ‘radice’ – ideato dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT (presieduta da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo) in collaborazione con la Fondazione CRC – nasce per coinvolgere la comunità locale e attivare a livello artistico diversi luoghi del territorio regionale. La curatela della prima edizione del progetto è stata assegnata a Marta Papini, che ha scelto Giulia Cenci per realizzare un intervento all’interno di un contesto estremamente simbolico. Fortemente legato alla resistenza, il Chiot Rosa si trova vicino alla Borgata Paraloup, il primo quartier generale nel cuneese delle bande partigiane di Giustizia e Libertà.
L’intervento di Giulia Cenci s’intitola ‘Le Masche’, un’opera site-specific che riprende la figura tradizionale contadina della masca. Figure ai margini della società, donne percepite come diverse e pericolose solo perchè capaci di leggere, curare le persone e studiare le leggi della fisica. I paesani riversavano ogni timore su di loro, dando vita a racconti irreali e fenomeni paranormali che spesso mettevano al rogo queste donne, le famose streghe. Cenci vuole omaggiare tutte le figure che nel passato – e purtroppo ancora oggi – sono state escluse dalla società ed etichettate come ‘strane’, ‘insidiose’ solo perchè colte o emancipate dagli uomini. Gli stessi attributi da outsider, da reietti della società del tempo, sono stati spesso assegnati alle partigiane e ai partigiani che hanno lottato contro il nazifascismo. Da qui possiamo comprendere la forte vicinanza tra il concetto di masca e i partigiani caduti durante il regime.
Si tratta di una passeggiata libera, un percorso non tracciato ma che inspiegabilmente ci attira, regalandoci una bussola intangibile che ci guida – seppur senza una meta – lungo la radura. ‘Vagare’ è l’atteggiamento al quale ci invita l’opera, perderci tra le betulle per imbatterci improvvisamente nelle sculture che conservano circa la stessa misura degli alberi, ascoltare la foresta. Echi di grida di terrore, risate, e una sensazione di inquieta pace fuoriescono dai tronchi naturali e artificiali.
Il risultato è quello di una collettività quasi spaventosa che inghiottisce, culla, intona una ninna nanna e accoglie tutte le anime che riescono a sintonizzarsi con questa peculiare frequenza. Un insieme composto dalle cortecce lignee e biancastre delle betulle e dagli scintillanti arbusti in acciaio realizzati dall’artista. Ma anche da persone, abitanti del paese e visitatori occasionali che decidono di passare qualche ora sulle panchine della radura o sdraiati per terra.
Le opere di Giulia Cenci consistono in enormi fusioni in alluminio realizzate a partire dai calchi delle betulle del Chiot Rosa, calchi inizialmente fedeli ai tronchi lignei ma che subiscono una trasformazione in itinere. Dagli arbusti nascono esseri antropomorfi, a una struttura madre che segue le forme della radura si aggiungono altri elementi naturali, animali e anatomici. Teste di lupo, toraci, volti a metà tra umani e alieni, personaggi ibridi che nelle sculture trovano una propria identità.
‘Secondo me sono fiori’ dice l’artista quando le viene chiesto che forma assumono le opere, lasciando intendere la presenza di un ragionevole dubbio o ambiguità.
Il naturale realizzato per mezzo dell’artificiale, una fusione di materiali e di senso che ritroviamo nell’intera pratica di Giulia Cenci e nel ‘le masche’. Alcune delle sculture appaiono morenti, stanche, piegate su se stesse come se domandassero gentilmente una fine dignitosa: fiori appassiti che presagiscono l’ora più buia. E poi tutt’un tratto, dove meno ce lo si aspetta, da due volti complementari sbocciano fiori, le nuove foglie rigogliose che in primavera gli arbusti buttano fuori, simbolo di resilienza e resistenza alle immense avversità a cui sono andati incontro durante l’inverno.
È proprio questo lo spirito della radura, di chi la abita, di chi l’ha abitata, e delle figure alle quali è intitolato il lavoro. Un moto altalenante che oscilla tra la morte e la nascita, tra il macabro e il tenero, tra la forza e la fragilità. Dualismi che contraddistinguono tutte le anime dei viventi, binomi che camminano su un filo sottile sorreggendo il peso dell’esistenza, contraddizioni senza le quali non esisterebbe niente, nemmeno un senso delle cose. E passeggiando per il Chiot Rosa camminiamo su questo filo come equilibristi, non potendo fare a meno di notare la sconfinata dolcezza e delicatezza che, nonostante la freddezza del materiale, queste opere ci trasmettono. Non avrebbero probabilmente lo stesso effetto se isolate dal contesto in cui abitano; ritorna il dualismo, una necessaria compresenza di elementi che rende unica la nostra esperienza nel mondo. ‘Le masche’ brillano di luce propria e si fondono perfettamente nella radura, sono lisce ma anche graffiate, imponenti e discrete, esplicite e pudiche. Per quanto la loro stazza suggerirebbe il contrario, si tratta di opere estremamente intime, con una spiccata capacità di inglobarci, di farci sentire a nostro agio.
Il vento delle streghe e della resistenza soffia forte fino a noi, ci travolge in un’aura nebbiosa che appare inizialmente offuscare l’orizzonte, per poi lasciare spazio ai raggi del sole. Filtrati dai rami delle betulle e riflessi sulle cortecce di acciaio si insinuano e ci scaldano, ricordandoci che quel soffio rivoluzionario sarà per sempre attuale, sta soltanto a noi afferrarlo.