Parthenope, cioè Napoli e la sua bellezza. Il film liquido, ipnotico di Sorrentino

In Cinema

Nasce dal mare e al mare appartiene, la protagonista doppia (Celeste Della Porta e Stefania Sandrelli) di quest’opera magnifica e irrisolta, che procede per pieni e vuoti, gorghi e vortici. Inseguendo una creatura che ha cinquemila anni ma è anche giovane e splendida. Unica, luminosa, concentrata su un’idea di felicità che fa rima con nostalgia ma certo mai con realtà. Tra il cinico, magnifico professor Silvio Orlando, uno strepitoso Gary Oldman e una struggente Luisa Ranieri, pugnace e orribile


Parthenope, la protagonista del nuovo film di Paolo Sorrentino, nasce dal mare e al mare
appartiene. Per tutta la vita. E questa qualità liquida del suo essere si allarga all’intero film, ne
impregna ogni inquadratura. Non banalmente, per il mare quasi sempre onnipresente (il mare
che non bagna Napoli, come scriveva Anna Maria Ortese), ma per la fluidità dell’immagine, la
forza libera e selvaggia di uno sguardo incantato e critico, addolorato, amoroso e smarrito,
feroce ma pur sempre pieno di compassione. Parthenope (una smagliante Celeste Dalla Porta,
nel finale trasmutata in una sontuosa Stefania Sandrelli) nasce nel 1950 e attraversa tutte le
epoche e i momenti, i quartieri e le facce di una Napoli che cambia e rimane sempre uguale, si
scioglie (nel sangue di San Gennaro) e si riprende, confonde lo sguardo e cattura il cuore, non
si vergogna mai, fra miseria e nobiltà, forza e frivolezza. Maschere e personaggi.

Fra l’irrilevante e il decisivo, come sottolinea il professore cinico e folgorante interpretato da Silvio
Orlando
(magnifico!), tra la giovinezza e la vecchiaia che non riescono a fare pace, come ci
ricorda il John Cheever di Gary Oldman (strepitoso!), tra il tempo perduto (per sempre) e quello
forse ritrovato nell’immaginazione, nello splendore mefistofelico di un mondo perennemente alla
deriva, eppure ancora e sempre capace di sopravvivere e rinascere.


Forse non è il film più riuscito di Sorrentino, ma resta un’opera magnificamente ipnotica, che
procede a onde e risacche, gorghi e vortici, pieni e vuoti. Seducente e luminosa come
Parthenope. E come Parthenope irrisolta, concentrata su un’idea di felicità che forse fa rima con
nostalgia, di certo mai con realtà. È il sogno l’unica dimensione di una possibile felicità, se sei
una sirena. E Parthenope questo è: una sirena al centro del mito fondante di una città come
Napoli, che non somiglia a nessun’altra. Matilde Serao la descriveva con queste parole:
«Parthenope non ha tomba, Parthenope non è morta. Ella vive, splendida, giovane e bella, da
cinquemila anni. Ella corre ancora sui poggi, ella erra sulla spiaggia, ella si affaccia al vulcano,
ella si smarrisce nelle vallate. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori: è lei
che fa brillare le stelle nelle notti serene; è lei che rende irresistibile il profumo dell’arancio; è lei
che fa fosforeggiare il mare».

E questa bellezza Paolo Sorrentino sembra respirarla, e volercela far respirare in ogni
immagine, in ogni singola inquadratura del film, insieme al rimpianto, al dispetto, al senso di
lontananza di chi è andato via, e ancora soffre, ma non abbastanza da voler tornare sui propri
passi. E a questo proposito io sono convinta che il sentimento preciso di Sorrentino nei confronti
della sua città natale abbia deciso di affidarlo proprio a lei, a Luisa Ranieri nei panni di una sorta
di Sophia Loren pugnace e orribile, meravigliosa e volgare. Struggente. Non c’è altro da dire.
Ecco, se volete un motivo per andare a vedere questo film, basta lei! Incastonata al centro di un
mirabile omaggio a Parthenope, bellissima e infelice. Sorprendente. Anche se “era già tutto
previsto”, come canta Riccardo Cocciante.

Parthenope di Paolo Sorrentino, con Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Luisa Ranieri, Silvio
Orlando, Isabella Ferrari, Gary Oldman, Peppe Lanzetta

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