Museo Novecento in Firenze presenta negli spazi del Caveau della Manifattura Tabacchi “Anche in un castello si può cadere”, mostra finale del progetto di residenza “WONDERFUL! Art Research Program 1st edition 2024 –Maria Manetti Shrem”. Curata da Benedetta Casini, l’esposizione presenta nei suggestivi spazi dell’ex fabbrica il lavoro degli artisti Friedrich Andreoni, Lucia Cantò, Benedetta Fioravanti e Giovanna Repetto. Ce la racconta in una deriva disorientante l’artista Andrea Kvas, al suo esordio critico su Cultweek.
Anni fa mi ritrovai sperduto nelle periferie di Praga in macchina, con solo la mappa del tragitto che, per qualche disattenzione, non seguii, ritrovandomi in strade sconosciute e distanti dalla mia meta. Fui costretto a cercare un percorso alternativo per arrivare alla mia destinazione, senza potermi aiutare con la segnaletica stradale che ovviamente non sapevo decifrare. Affinai in quel momento una sorta di strano intuito, un’alternativa percezione dello spazio che avevo intorno, una specie di intuizione bislacca che alla fine mi portò a destinazione con criteri diversi da quelli comunemente utilizzati, con una diversa e nuova consapevolezza dello spazio, del percorso e di me stesso al loro interno.
Con quella stessa attitudine mi sono trovato ad approcciare “Anche in un castello si può cadere”, mostra conclusiva di Wonderful! Art Research Program, 2024 – 1st edition Maria Manetti Shrem curata da Benedetta Casini con le opere di Friedrich Andreoni, Lucia Cantò, Benedetta Fioravanti e Giovanna Repetto nel Caveau di Manifattura Tabacchi in Firenze. Non perchè mi fossi perso ma perchè le opere stesse mi hanno indotto a farlo, portandomi fatalmente a cadere nel castello dell’impianto espositivo della mostra.
A partire da I still love you, anyway di Benedetta Fioravanti, un’opera composta da frammenti video recuperati da qualche angolo recondito di internet e mescolati a riprese filmate dall’artista stessa, che fin dai primi secondi colpisce con immagini frenetiche alternate a momenti di calma apparente e intrisi di tensione che continuano a rotolare e a crescere. Non è presente una trama intellegibile ma è percepibile un criterio compositivo che smuove e cattura e, se il video è un crescendo, l’audio a contrasto si muove nella direzione opposta, concludendo con una canzone pop cantata da una voce giovanile e estranea.
Uno sbandamento, e ci si trova di fronte Il problema dei due corpi di Lucia Cantò, una scultura semisferica in alabastro le cui forme sono precise ma i rimandi sono molteplici, con la pietra traslucida con le sue nette venature contrapposte al basamento pesante e sgraziato che non fa che amplificarli senza però dischiudersi, senza spiegarsi. Ed è proprio questo “significato sospeso” la forza di questo lavoro come anche di Coefficiente possibile, soffi compenetrati in vetro cristallo posati su basi in acciaio che ricordano le grate di sfiato sui marciapiedi delle città metropolitane, in cui il soffio stesso riempie il vetro della storia del suo processo di produzione, dandoci indizi poetici di una leggerezza allusiva e inquieta.
Un cumulo di artemisia essicata è il punto di partenza dell’opera performativa Darling Tongue di Giovanna Repetto, dove parole, motti e brevi frasi composte a terra con la stessa artemisia prelevata dal cumulo vengono bruciate come nella pratica terapeutica orientale. Una disorientante segnaletica orizzontale, scritta in un gergo personale ma estraneo al corpo dell’architettura del caveau stesso, che amplifica l’inciampo del visitatore il quale, con quelle insegne disperse in una coltre di fumo, non può che perdere l’orientamento.
La stessa carcassa architettonica è attraversata e vibrata dalle basse e cavernose frequenze di What to do with our dreams? di Friedrich Andreoni, un intervento sonoro nel quale una cantilena storpiata e ridotta alle sole frequenze basse riempie la stanza, spingendo verso l’alto una struttura in metallo che è rappresentazione scarificata del ciborio della chiesa di San Miniato al Monte. Ieratico e in qualche modo dissacrante, il ciborio prende le sembianze di un corpo posseduto che prova ad ascendere sospinto dalla forza densa del suono, restando sospeso in un limbo di possibilità e di energia potenziale.
Le opere dei quattro artisti hanno la capacità di interagire con lo spettatore grazie al loro forte potere evocativo. Sono entità autonome, ognuna con un proprio racconto e una propria identità, ma ognuna di esse, e le stesse assieme nel contesto – un magazzino che è cantiere vivo, colmo di oggetti immobili e utili – emanano una narrazione diversa e nuova, indipendente dalle intenzioni dell’artista, degli artisti e della curatrice, perché aprono allo spettatore la possibilità di muoversi, di inciampare, di seguire quella segnaletica oscura ed estranea ma, evidentemente, significante. Con il loro potere immaginifico permettono a chi vi si aggira di godersi la percezione alternativa dello spazio, l’intuizione bislacca della direzione da prendere. E la gioia, disorientante e preziosa, di perdersi.
In copertina: Installation View di “Anche in un castello si può cadere”, mostra finale del progetto di residenza Wonderful! Art Research Program, 2024 – 1st edition Maria Manetti Shrem, Manifattura Tabacchi, courtesy Museo Novecento, ph. Leonardo Morfini