In “Fino a qui tutto bene” l’italo-inglese Roan Johnson affronta il passaggio all’età adulta con ironia (a tratti un po’ greve) e ottimismo. Tra realtà e fiction
Dopo aver diretto I primi della lista, il regista italo-inglese Roan Johnson trova il modo di trasformare in un film una sua ricerca realizzata intervistando gli studenti dell’Università di Pisa. E la pellicola, nata con mezzi esigui, già dal titolo Fino a qui tutto bene, conferma di esser stata costruita giorno per giorno.
A colpirci subito è la semplicità del plot: cinque giovani coinquilini, interpretati da Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D’Amico, Guglielmo Favilla, Melissa Anna Bartolini che hanno convissuto nella stessa casa consumando tubetti di maionese scaduti e piatti di pasta conditi con avanzi di dispensa, devono a un certo punto affrontare il passaggio alla vita adulta prendendo ciascuno una sua direzione, pur ricordando la bellezza degli anni trascorsi insieme.
Il sentimento principale estrapolato dalle interviste agli studenti pisani, e che pervade anche il gruppo di amici, è voler mettersi in gioco, sfidare l’attuale crisi. E i protagonisti, lo faranno con cinque scelte di vita differenti: c’è chi parte per l’estero, chi rimane solo a Pisa, e chi torna, da buon figliol prodigo. Ma, prima, tutti condivideranno gli ultimi tre giorni di quel loro tortuoso percorso fatto di studi, festini, litigi e storielle estive.
Johnson, forse anche perché costretto da un budget ridotto all’osso, fa dormire gli attori nella casa adibita alle riprese, instaurando così un solido, reale legame tra i coinquilini della storia, che giova alla scioltezza del rapporto interpersonale creatosi tra gli attori, fondamentale per sostenere performance non tutte così brillanti, indimenticabili.
Se è da lodare la ricerca della verosimiglianza, in molti modi, la profusione di battute “volgarotte” alla toscana, di allusioni sessuali, restituisce una comicità un po’ pruriginosa, che dà fastidio; in rarissime occasioni l’ironia si fa ricercata, elegante, perché la parte del leone tocca più spesso alla bassezza, tanto apprezzata da una larga fetta di pubblico, declassando una pellicola che avrebbe potuto essere più raffinata.
Finalmente però abbiamo a che vedere con un gruppo di ragazzi che non viene ammorbato (e non ci ammorba) con la critica della condizione sociale in cui l’Italia è immersa, ma al contrario cerca di uscirne procedendo in linea retta, lungo la via della creazione del proprio futuro.
Pur trattandosi di un film leggero, dà spunti per la riflessione sulla condizione giovanile, sulla spensieratezza degli anni universitari e sull’apparizione improvvisa dalla fine dell’adolescenza: benvenuti nella vita adulta, con le sue molte responsabilità.