“Solo per una notte”, opera prima di sorprendente maturità dello svizzero Maxime Rappaz, è un ritratto femminile lontano dagli stereotipi e vicino alle emozioni vere: lei, normalmente mamma coraggiosa (e single) di un figlio disabile, un giorno alla settimana si concede avventure appassionate e senza futuro con uomini soli. Finché incontra Michel, che mette in crisi questa singolare routine. Un melodramma raffreddato e struggente che molto deve alla protagonista, l’ottima Jeanne Balibar,
Una volta a settimana, non di più, non di meno, Claudine (la meravigliosa Jeanne Balibar, protagonista assoluta di Solo per una notte di Maxime Rappaz) smette di essere la madre coraggiosa di un ragazzo disabile e diventa una donna affascinante e spavalda. La vediamo prendere un treno e scalare (letteralmente, quasi) una montagna per arrivare in un albergo in cima a una diga e lì sedurre con poche parole e sguardi diretti, privi di malizia e proprio per questo oltremodo eccitanti, uomini soli di passaggio. Quelli privi di immaginazione pensano che lo faccia per soldi, gli altri capiscono quasi subito che no, non di quello si tratta, ma sembrano tutti un po’ stupiti quando lei – dopo aver consumato senza fretta un amplesso mediamente più che soddisfacente – si riveste con calma, ringrazia e se ne va. Claudine non ha bisogno di denaro, il suo lavoro da sarta è più che sufficiente a mantenere la sua piccola famiglia. Quello che vuole è sentirsi una donna, e non solo una madre, almeno per qualche ora, una volta a settimana.
È una fuga dalla realtà, certo, ma soprattutto la costruzione di una realtà altra, fatta di viaggi e di sogni, forse addirittura di felicità. Un universo alternativo di cui fa inevitabilmente parte anche quel figlio fragile, a cui mandare finte lettere dal mondo firmate da un padre che nella realtà è sparito, fuggito a gambe levate davanti al mistero doloroso di un figlio gravemente imperfetto. L’incontro con Michael, ingegnere fin troppo dotato di immaginazione, mette in crisi la routine della protagonista, con esiti imprevedibili. Perché a volte non solo le persone ma anche i sentimenti possono essere di passaggio. E a volte no. E ci vuole audacia, per conoscere davvero qualcun altro, una donna soprattutto.
Una storia minima di libertà e immaginazione, intessuta di paura e speranza, popolata di corpi imperfetti, sentimenti laconici, sguardi sfuggenti, sullo sfondo di montagne indifferenti, immote ed eterne, come è inevitabile che siano. Un melodramma raffreddato e struggente, messo in scena con grande rigore ed estrema sensibilità, scegliendo di ambientare la storia nel 1997, appena prima della morte di lady Diana (di cui seguiamo le gesta attraverso gli occhi incantati del figlio di Claudine, che la venera come una dea). È un’opera prima di sorprendente maturità quella firmata dallo svizzero Maxime Rappaz, capace di comporre un ritratto di donna lontano dagli stereotipi e vicino al cuore pulsante delle emozioni. Tutte le emozioni, comprese quelle inconfessabili.
Solo per una notte, di Maxime Rappaz, con Jeanne Balibar, Thomas Sarbacher, Pierre-Antoine Dubey, Véronique Mermoud