Il film di Brady Corbet, attore di talento e qui regista discontinuo ma bulimicamente in forma, è tutto inventato ma sembra vero, anzi verissimo E’ brutale, essenziale, diretto e lancinante, un’opera-mondo debordante, difficile da abbracciare in un unico sguardo (215 minuti , tanti) eppure capace di trascinarti con sé, nel labirinto della vita e della morte, dell’amore e del dolore, del rimpianto e del desiderio. E lo sostiene un gran trio di attori, guidato da uno strepitoso Adrien Brody nel ruolo dell’architetto Toth, ebreo ungherese che fugge dall’Europa (anni ’40) verso un’America feroce
László Tóth, ebreo ungherese, protagonista di The Brutalist di Brady Corbet, architetto famoso nella Budapest degli anni Trenta, poi immigrato maltrattato e sfruttato nell’America bulimica e feroce tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, è un uomo spezzato, un genio fragile e ossessivo, per tutta la vita alla ricerca di un nuovo impossibile equilibrio dopo la terrificante esperienza dei campi di sterminio nazisti. Un uomo che lotta per non rinunciare alla propria visione, con lucidità sovrumana, eppure ad ogni passo incespica, esita, cade. E ogni volta si rialza, ma ogni volta il prezzo è più alto, fino a rivelarsi insopportabile, indicibile persino.
Al centro della scena c’è sempre lui, László (un Adrien Brody straordinario), ma i personaggi che gli si muovono di volta in volta intorno non sono certo da meno quanto a fascino e capacità di raccontare le contraddizioni dell’umano, dal ricco mecenate Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce), sempre in bilico tra generosità e arroganza, crudeltà, indifferenza e megalomania, alla indomabile Erzsébet (Felicity Jones), la moglie di László anche lei sopravvissuta ai lager nazisti, confinata su una sedia a rotelle eppure capace di dare prova di una forza straordinaria. Anche lei bigger than life, come il protagonista.
E come il film stesso, che più che fluviale definirei forse incontinente, in quel suo assurdo attardarsi in infiniti dettagli e poi sorvolare su momenti tutt’altro che irrilevanti, spiegare (tentare di spiegare) tutto e poi d’improvviso rinunciare a ogni ragionevole delucidazione. E nel lasciarci così con l’enorme didascalia finale, che dà un senso a ogni angolo in ombra, ogni segno di matita su un foglio di carta da disegno, ogni singolo mattone, ogni metro quadro di cemento armato. Il brutalismo di cui Tóth viene considerato un esponente (ma è tutto finto, non è mai esistito un architetto di nome Tóth) si distingue da altre correnti architettoniche per la durezza del suo approccio a uno spazio che si vuole massiccio, imponente, ma tutt’altro che levigato, perché i materiali devono essere grezzi, puri, senza orpelli.
E brutale, essenziale, privo di fronzoli, diretto e lancinante, è anche questo film. Un’opera-mondo che riesce al tempo stesso a essere monumentale, debordante, difficile da abbracciare in un unico sguardo (215 minuti sono tanti) eppure capace di trascinarti con sé, nel labirinto della vita e della morte, dell’amore e del dolore, del rimpianto, del desiderio, del potere. Fin dentro il mistero glorioso del talento e della magnifica e talora distruttiva spirale della creatività. Girato in 70mm, ambizioso e intenso, The Brutalist è un film incapace di trovare una vera misura, nonostante la scelta in apparenza razionale di dividere la narrazione in quadri rigidi, tra un prologo, un epilogo e due lunghe parti, alternando momenti di una potenza che quasi toglie il fiato a sequenze confuse, forse prive di vera necessità.
Brady Corbet si è ripetutamente dimostrato attore di talento – in Mysterious Skin di Gregg Araki e Funny Games di Michael Haneke – ed è ormai alla terza prova come regista, dopo il pregevole L’infanzia di un capo, e l’incerto Vox Lux. Qui attinge a La fonte meravigliosa di King Vidor, che nel 1954 con Gary Cooper disegnava una memorabile figura di architetto rivoluzionario, e arriva fino al punto di costruire un finto documentario apparentemente girato alla Biennale d’Arte di Venezia del 1980. È tutto inventato, dalla prima all’ultima scena, ma sembra vero, anzi verissimo. In fondo non è questa, quando funziona, l’autentica grande magia del cinema? Giustamente premiato con tre Golden Globe (miglior film drammatico, miglior regia e miglior attore) e un Leone d’Argento per la migliore regia alla Mostra del Cinema di Venezia, The Brutalist è ora candidato all’Oscar con ben dieci nomination.
The Brutalist, di Brady Corbet, con Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy