“Il seme del fico sacro” di Mohammad Rasoulof ha vinto a Cannes 2024 il Premio Speciale della Giuria per le qualità filmiche e tematiche, come il precedente lavoro del regista iraniano “Il male non esiste”, vinse l’Orso d’Oro alla Berlinale 2020. Ma gli è costato l’esilio dal suo paese, perché tratta un tema molto caldo, la rivolta dei giovani e delle donne che rifiutano la dittatura islamica. E lo fa raccontando il conflitto tra il probo giudice Iman, funzionario allineato al regime e le due figlie, attiviste in piazza. Così anche una casa finora allietata dall’amore reciproco è investita dallo scontro che attraversa il paese
Iman (Missagh Zareh), protagonista di Il seme del fico sacro di Mohammad Rasoulof, è un uomo buono e gentile, ama sua moglie, le sue figlie, il suo lavoro. Ha appena ricevuto una promozione e si gode l’idea di poter offrire alla famiglia una casa più spaziosa in un quartiere migliore. Purtroppo la città in cui vive è Teheran e lui è un giudice chiamato a essere un ingranaggio ubbidiente all’interno di un fin troppo efficiente meccanismo di morte. Nelle strade e nelle università i giovani stanno protestando contro un governo liberticida, uno stato teocratico che in nome di Allah è pronto a divorare senza pietà i suoi figli e soprattutto le sue figlie. Iman potrebbe essere il granello di sabbia che inceppa il meccanismo, perché è un uomo che non confonde la religione in cui crede con tranquilla convinzione con il fanatismo che tutto distrugge, anche la fede. Soprattutto crede nella giustizia, nella necessità di amministrarla secondo coscienza, vagliando le prove, soppesando le testimonianze, basandosi sulle leggi, non sui pregiudizi.
Potrebbe essere quel granello di sabbia, sì, ma dovrebbe avere una tempra che non ha, una forza che non ha mai nemmeno immaginato di possedere nella sua vita di piccolo burocrate perbene. Potrebbe essere il granello che disturba l’atroce funzionamento della macchina e cambia le cose, ma avrebbe bisogno di non sentirsi così solo, così debole, “un vaso di terracotta, costretto a viaggiare con molti vasi di ferro”. E così, proprio come don Abbondio, china la testa, ubbidisce alla legge del più forte, al potere che nell’Iran di oggi esige da lui una lunga sfilza di condanne (spesso a morte) senza nemmeno leggere le carte processuali. Perché chiunque osi anche soltanto mettere in discussione lo status quo deve essere schiacciato nel modo più esemplare. Perché il terrore deve alimentare sé stesso, prima di tutto, ogni giorno, ogni ora: solo così si può impedire a un popolo intero di alzare la testa e pretendere la libertà.
Tra le vittime di questo aberrante sistema di repressione ci sono prima di tutto i giovani. Gli studenti in prima fila nelle manifestazioni, le giovani donne che si strappano l’hijab dalla testa, perché più di tutte soffrono la mancanza di una libertà che da troppo tempo latita in questo meraviglioso e disgraziato paese vittima di un patriarcato feroce. E infatti saranno le due figlie di Iman a innescare il meccanismo che farà esplodere la situazione, accogliendo in casa una compagna di studi della maggiore, rimasta ferita nel corso di una manifestazione. Un gesto di solidarietà e amicizia che mette in moto un effetto valanga, creando attriti e sospetti, esasperati dall’incomprensibile scomparsa, dal cassetto del comodino, della pistola che il capofamiglia aveva ricevuto insieme alla promozione.
Un film di rara potenza e grande lucidità, capace di descrivere l’esatto meccanismo di funzionamento di un sistema totalitario, disegnando la precisa traiettoria che può portare un uomo perbene a trasformarsi in un efficiente soldato di dio, un mostro zelante al servizio di un potere cieco e inesorabile. Un racconto coraggioso che indaga la paura diffusa, la cultura del sospetto, il conformismo desideroso solo di quieto vivere, ma anche il bisogno, nonostante tutto, di combattere e accettare le proprie responsabilità.
Rasoulof – già autore di Il male non esiste, capolavoro premiato con l’Orso d’Oro a Berlino nel 2020, che era costato al regista iraniano una condanna a otto anni di carcere – ha realizzato Il seme del fico sacro, – candidato a Globe e Oscar per il miglior film straniero – in clandestinità, mescolando scene girate in interni con gli attori con le riprese video delle violente proteste avvenute in Iran a partire dal 2022. È riuscito ad accompagnare il suo film all’ultimo festival di Cannes, dove ha ricevuto il Premio speciale della Giuria, ma il prezzo è stato quello di non poter più rientrare nel suo paese. Almeno fino a quando il fico sacro, che cresce avviluppando e strangolando gli altri alberi, trasparente simbolo del regime teocratico al potere, non sarà definitivamente abbattuto.
Il seme del fico sacro, di Mohammad Rasoulof, con Soheila Golestani, Missagh Zareh, Mahsa Rostami, Setareh Malek, Niousha Akhshi