Fino al 21 marzo 2025, negli spazi della A plus A Gallery di Venezia, sarà ospitato “L’animale che dunque sono”, personale di Mattia Sinigaglia che prende in prestito il titolo da un’opera del filosofo francese Jacques Derrida incentrata sul rapporto tra uomo e animale, principale punto di espressione dei lavori dell’artista che uniscono dialetticamente pittura e scultura in composizioni di grande respiro e profondità.
All’ombra di una stretta calle veneziana, fino al 21 marzo 2025, è possibile imbattersi in una volpe sospettosa. La creatura, vincolata al dipinto di Mattia Sinigaglia intitolato “Ti vede”, 2024, scruta e giudica indistintamente i pellegrini che si muovono all’infuori della galleria aplusa. Realizzata in scala 1:1, rappresenta l’incipit non solo del percorso di mostra ma anche della mostra stessa, ideata e sviluppata a partire da un incontro realmente avvenuto tra l’artista e l’animale.
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“L’animale che dunque sono”, prende in prestito il titolo della mostra da un’opera del filosofo francese Jacques Derrida. Nel saggio, composto da una serie di testi riguardanti la questione dell’animalità, viene menzionato un episodio tanto perturbante quanto quello dell’incontro tra Sinigaglia e la volpe dell’Appennino tosco-emiliano: Derrida, nudo, si accorge di essere guardato dalla propria gatta e si sente in imbarazzo. Se, nell’arco della sua carriera, l’obiettivo del filosofo è sempre stato quello di scardinare l’idea di un mondo fatto per l’uomo, l’episodio appena descritto si rivela di fondamentale importanza: “Vergogna di chi e davanti a chi?”, si domanda. In un sistema che ha sempre identificato l’uomo in base alle sue differenze rispetto all’animale (l’uomo in quanto portatore di logos può parlare, mentre l’animale no), Derrida propone per la prima volta di considerare l’uomo come manchevole rispetto all’animale, in quanto a nessun animale verrebbe mai in mente di provare vergogna (proprio perché in natura il concetto stesso di nudità non esiste). Essendo la nudità un discrimine ancora più netto rispetto a quello della parola (è comunque evidente che gli animali tra di loro riescano a comunicare), sarebbe la mancanza il vero punto in questione nella definizione stessa dell’uomo. Tornando, quindi, alla questione dello sguardo: “L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui. E pensare comincia forse proprio da qui”.
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Se il compito del filosofo è quello di interrogarsi sulla realtà, quello dell’artista è di mediarla. Così Sinigaglia, prima ancora di discutere con il prof. Piergiorgio Svaluto Moreolo e scoprire un possibile parallelismo tra la nudità di Derrida e lo sguardo della volpe, stava già organizzando la sua rappresentazione sulla base della stessa, umile, intuizione. Prendendo ad esempio in esame le tele di grande formato “Ti vede” e “Saliva”, 2025, l’elemento figurativo (costituito in entrambi i casi dall’animale e dalla flora che lo circonda) è inscritto entro un sottile profilo stilizzato, realizzato con la foglia d’oro nel primo caso e con la foglia di rame nel secondo. Questo tratto finissimo, di appena un paio di centimetri, risulta in entrambi casi in un profilo femminile che richiama il volto ideale di ipotetiche statue greche. Il filtro, percepibile prevalentemente da lontano, rimanda inevitabilmente all’idea di logos e di cultura; quest’ultimo tuttavia, lungi da poter essere considerato un elemento di contrasto netto tra animalità e umanità, si inserisce al contrario nella rappresentazione come una prima cornice entro cui la comunicazione avviene. Il logos, quindi, non agisce più a senso unico: permea il dialogo (tra animale e uomo ma anche tra spettatore, umanità e animalità) generando una prima matrioska di significazione.
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Continuando a usare queste opere come delle possibili mappe rispetto alla poetica dell’artista, due elementi meritano una particolare attenzione in quanto ricorrenti, poi, nella totalità dell’esibizione: il rapporto tra figurazione e astrazione e quello tra pittura e scultura. Il tentativo di valorizzare il punto di vista dell’altro (come ad esempio in “Love is a garden”, 2025, in cui due libellule si accoppiano tra i fili d’erba senza badare a un teschio umano, oppure in “P.o.v. formica”, 2025, in cui allo spettatore viene offerta la possibilità di sperimentare in prima persona, appunto, il punto di vista di un insetto), senza mai rinunciare al proprio, avviene tramite la compenetrazione delle due coppie di stili, intendendo principalmente l’astrazione e la scultura come attributi umani e viceversa.
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Se i volti greci fungono da rimando all’idea di scultura, privilegiando comunque l’uso dell’intarsio rispetto a quello della pittura nuda e cruda, questa non si limita a comparire nella rappresentazione come concetto ma viene lentamente fatta emergere sul piano fisico. Le ceramiche e le cornici di legno presenti nei dipinti scultorei giocano quindi sulla pluralità degli sguardi descritti nell’opera, incarnando la modestia dell’artista rispetto alla sfera naturale da lui riflessa. Il dipinto non basta a se stesso: prende vita tramite questi omaggi fatti di legno, terra e acqua, che, nonostante siano stati modellati dall’estro umano, vengono riassemblati e restituiti alla natura stessa, quasi mimando la loro posizione originale.
Mattia Sinigaglia, L’animale che dunque sono, aplusa gallery, Venezia, fino al 21 marzo 2025
In copertina: Mattia Sinigaglia, Ti vede (dettaglio), olio, foglia oro-argento-multicolore su tela.