Apre al pubblico domani, 26 febbraio, a Palazzo Reale di Milano, la splendida mostra “Io sono LEONOR FINI” a cura di Tere Arcq e Carlos Martín, una delle più rilevanti e complete retrospettive mai dedicate all’artista italo-argentina con oltre 100 opere tra dipinti, disegni, fotografie, costumi e video scandite in un percorso di nove sezioni tematiche. Vittoria Caprotti l’ha visitata in anteprima per Cultweek e ci racconta un mito del Novecento. Un mito sotterraneo, mai urlato né urlante, ma pur sempre mito!
Qualche mese fa, sfogliando un libro dedicato a De Pisis contenente anche suoi appunti e scritti vari, incappai nella seguente annotazione dell’artista: “Al caffè dei Deux Magots una sera Magnelli dice ‘Te e Leonor però che duetto fareste… faceste qualche cosa…’ Restai pensoso e poi: – È intelligente Leonor… – Eh! Bella forza… e che ti pare di aver detto?, ma molto intelligente”. In un mondo dominato da machos à la Breton (è tutto un sogna sogna) e Picasso (solo tori e distintivo), tocca pescare De Pisis che era omosessuale e Magnelli che – nato l’1 luglio 1888 – era del Cancro (sulla scala della mascolinità zodiacale, equivale a essere stra-gay, passivi, caricature da cinepanettone con il boa di piume rosa) per trovare un’attestazione di stima così sincera nei confronti di una donna.
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Olio su tela, 35 x 25 cm, collezione privata
© Leonor Fini Estate, Paris
A Milano, plotoni di femmine, gay passivi e omuncoli del Cancro, entrando a Palazzo Reale, fino al 22 giugno potranno visitare “Io sono Leonor Fini”, mostra che deve il titolo a Fini stessa, la quale, in un video presente anche nel percorso espositivo, diceva: “Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo: lo sono”. L’ingresso alla mostra è consentito, comunque, anche agli uomini etero – addirittura a quelli dell’Ariete, dello Scorpione e del Capricorno: maschissimi – che pagheranno, peraltro, lo stesso prezzo delle altre categorie summenzionate: peccato.
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Olio su tela 73 x 92 cm, Cantone Ticino. Fondazione Monte Verità. Donazione Eduard von der Heydt
© Leonor Fini Estate, Paris
Forse qualche visitatore pochi anni fa aveva già avuto modo di conoscere Fini a Milano nella preziosa mostra dedicatale da Tommaso Calabro, nella vecchia galleria in piazza San Sepolcro. Per questi presumo rari (ma non rarissimi) soggetti, Leonor, dunque, non è una scoperta; per tutti gli altri, benvenuti tra le braccia di un mito del Novecento; un mito ctonio, sotterraneo, mai urlato né urlante, ma pur sempre mito.
Sottsass una volta scrisse che degli artisti “conta più la vita: come di tutti conta soltanto la vita più che le opere” e, allora, ben vengano le miriadi di fotografie di Fini in maschera, i video che la mostrano mentre scala rovine sul litorale laziale indossando i tacchi, le citazioni in cui parla del suo amore per i gatti, gli audio in cui spiega che fu una bambina coccolata e viziata. Conta più la vita delle opere, per cui a Leonor – come a tantissimi altri, inclusi noi stessi – perdoniamo certi scivoloni formali: fu una pittrice autodidatta e in certe linee lo si nota, ma, poi, va detto, fu, comunque, una colorista capacissima.
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(Presto, presto, presto, le mie bambole stanno aspettando!), 1975
Olio su tela, 113,8 x 145,5 cm, Private Collection
© Leonor Fini Estate, Paris
La mostra di Palazzo Reale – come tutte le mostre lì allestite? – è molto buia, ma gli arancioni di Fini bastano e avanzano per illuminare tutto. L’ultimo quadro del percorso è un “Autoritratto con cappello rosso” che, in realtà, è un cappello arancione: un cappello senza ombre, senza profondità, solo materia pittorica che avvolge la testa di Leonor, con quel suo muso felino. Andando a ritroso, arancioni sono anche un costume di scena disegnato per “8 ½” di Fellini, il mezzo vestito indossato in “La bassa moda/Nuda con cappello/Prova abito III”, la veste de “La guardiana delle fenici” che per possenza pare un personaggio di Masaccio, i capelli del “Narciso impareggiabile”, la stoffa cangiante di “Ea” (una stoffa che s’illumina da sé come fosse vetro all’uranio, la pelle sbucciata di un mandarino coltivato a Chernobyl alla fine degli anni ’80).
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Olio su tela, 116 x 81 cm, collezione privata
© Leonor Fini Estate, Paris
Mentre cerco di riprendermi dal felice stordimento causatomi da tutto questo mio colore preferito, i quadri di Leonor mi colpiscono con un’altra arma (di seduzione): il corpo maschile, spesso nudo. Oltre ai vari amanti del momento, l’artista ebbe due compagni fissi per decenni, ossia Stanislao Lepri e Constantin Jelenski, con i quali è anche sepolta. I modelli per i ritratti non le mancavano. Li ritraeva mentre dormivano soli o da lei controllati-protetti, agghindati come potenti del Rinascimento in pellicce e velluti, usandoli a mo’ di sedia pieghevole sedendosi su di loro.
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Olio su tela, 33 x 46 cm, collezione privata
© Leonor Fini Estate, Paris
Incantatrice di uomini, gatta, streghetta e sfinge: l’anarchia femminile di Leonor Fini – non il femminismo: non è un -ismo, il suo: non c’è un’organizzazione condivisa – la rende fondamentale oggi più che mai. Il suo valore di donna lo trova in sé, recuperando simboli e cucendoseli addosso in assoluta autonomia, senza manifesti né movimenti o scuole a supporto o da supportare. In un momento, il nostro, in un cui la massificazione delle cose – mostre d’arte incluse – ce le ha rovinate un po’ tutte, le cose, Leonor ci deve essere maestra.
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Olio su tela, 14,5 x 11 cm, Museo Mario Praz, Direzione Musei Statali della città di Roma
© Leonor Fini Estate, Paris
Nel catalogo della mostra di Palazzo Reale, Anna Watz spiega che l’artista “era contraria a qualsiasi forma di organizzazione politica o istituzionale; preferiva considerarsi autonoma e sovrana”. Allora, chiudiamoci dentro Palazzo Reale in compagnia di Leonor Fini, per imparare da lei – rigorosamente in lezioni 1:1, mai di gruppo – se non come disegnare in maniera raffinata, quantomeno cosa sia l’individualismo sano, davanti alla massificazione e al populismo. “Nessuno è indipendente”, sillaba Nanni Moretti in uno dei suoi film; “Chi sei? Come ti chiami?” – “Nessuno”, ribatterebbe Omero.
Io sono LEONOR FINI, Dal 26 febbraio al 22 giugno 2025, Palazzo Reale, Milano
In copertina: Leonor Fini, Autoportrait au chapeau rouge (perticolare), 1968. Olio su tela, 84 x 61 cm. Archivio fotografico del Museo Revoltella – Galleria d’Arte Moderna, Trieste. © Leonor Fini Estate, Paris