Cosa resta di Luca Ronconi?

In Teatro

© Luigi Laselva

A dieci anni dalla scomparsa di uno dei più grandi, numerose sono le iniziative che ricordano il suo incredibile viaggio artistico, le profezie sulla regia, la tensione verso l’infinito

Da dieci anni ci manca Luca Ronconi e non è stato sostituito perché era un pezzo unico, un jolly, uno che come nessun altro ha ribaltato i tavoli del teatro, come lo furono Strehler, Visconti e pochi altri. Ci manca Ronconi, anche se non siamo più nell’epoca del teatro di regìa, l’attore è ridiventato protagonista e ancora di più il riduttore, il dramaturg, il traduttore o revisore.

Anche il Piccolo Teatro, pur diretto da Claudio Longhi,  che di Ronconi è stato allievo (lo si vede, assistente attento, nel documento sul più bello spettacolo tra i 33 allestiti al Piccolo, Infinities, cinque paradossi scientifici sulla vita), fa giustamente una stagione che cerca anche nei maestri europei e intanto alleva giovani talenti in residenza.

Per la ricorrenza, il direttore artistico, insieme al general manager Lanfranco Li Cauli, ha organizzato un vasto calendario di appuntamenti che d’estate avrà solo una pausa e poi riprenderà in autunno, speriamo col restauro a cura della Cineteca di Bologna del meraviglioso Orlando furioso girato a puntate per Rai3.

La locandina degli eventi farà ampio uso di video, dei film degli spettacoli di Luca, di incontri con i “suoi” attori e attrici impossibili da citare tutti, magari solo la Melato, la Fabbri, la Nuti per arrivare agli ultimi, quelli del suo commiato, La trilogia Lehman, cioè il suo vecchio sodale Massimo de Francovich, la new entry Fabrizio Gifuni, una provata conoscenza, Massimo Popolizio e Fausto Cabra e Fabrizio Falco.

E questo programma di appuntamenti, che dovrebbe raccontare anche la sua simpatia e il suo humour privato, nonostante la fatica della malattia dei suoi ultimi anni, sopportati e superati proprio continuando a far teatro,  comprende lo spazio fuori ufficialità del Centro Santa Cristina per i giovani, oggi curato da Roberta Carlotto, è stato annunciato a Milano nel retropalco del teatro Studio, spazio che confina tra la sua amata scuola e la scena, le due età dell’attore, scelta che Ronconi avrebbe molto amato. E sono gli attori della “Lehman Trilogy”, lo spettacolo del suo consapevole addio, loro che, alla fine della recita di sabato 21 febbraio 2015, rientrati in quinta, hanno saputo che il Maestro se ne era andato per sempre.

Il grande regista ha lasciato un segno indelebile in molti teatri e città italiani, dall’Umbria in cui era di casa con la sua grande villa arredata dalla sua amica Gae con una grande scalinata all’interno che era tragedia greca ma anche Wanda Osiris (Luca era onnivoro, anche nella sua competenza filmica), al Fabbricone di Prato, da Torino a Roma.

In particolare Milano, dirigendo il Piccolo dal 1998 al 2015, chiamato da Sergio Escobar per il difficile “post Strehler”. «È scivolato oltre quella soglia intorno alla quale aveva scelto di giocare tutta la vita», dice commosso Claudio Longhi, direttore del Piccolo di oggi «ma ora i tratti della sua eredità si fanno più nitidi. Cosa resta di Luca?».

La domanda serpeggia tra gli oratori, ognuno ha la sua risposta e ciascuno sceglie il titolo migliore messo in scena al Piccolo, lasciando da parte la Scala, che ricorda serate memorabili come  Il viaggio a Reims che arrivava in Scala con corteo regale dalla Galleria). Sarà meglio la sceneggiatura di Lolita o le stagioni dedicate ai grandi Sogni di Calderon e di Stindberg, ala scoperta dello Schnitzler inedito del Professor Bernhardi, ai due spettacoli ispirati a Henry James, eccetera eccetera, compreso un incontro con i suoi scenografi, manca la geniale, compianta Gae Aulenti, il discorso sull’archivio Ronconi ora alla Biennale, dove Luca ha curato una strepitosa edizione nel ’74.

Si ricordano le fughe in avanti del regista, basta allontanarsi dal velluto rosso, magari andando nei capannoni dismessi della Bovisa per Infinities o al Palazzo dei diamanti di Ferrara per Amor allo specchio. Il testo di Massini fu l’ultimo mirabile anello del maestro che credeva in un teatro che proseguisse all’infinito, anzi proprio di uno spettacolo senza fine (a volte con la durata ci andava vicino) come suggerisce il memorabile, Infinities.

E se Longhi, prendendo la scorciatoia di una poesia di Brecht, ricorda che Ronconi non voleva proprio lasciare traccia, noi siamo qui proprio a ricordare la sua figura costantemente in viaggio artistico, il vuoto lasciato, la profezia sul ruolo della regìa, del maestro nel rappresentare romanzi (il magnifico Pasticciaccio di Gadda, Dostoevskji, James, Nabokov) perché nessuno come lui sapeva arbitrare i match tra la prima e la terza persona, tra pagina e scena, regista e scrittore, personaggio e attore. Si è anche piegato a mettere in scena un Brecht, la Giovanna dei Macelli, ma controvoglia, per mostrare che non era materia sua, pur apprezzando il lavoro strehleriano.

Prospettiva Ronconi è il titolo di questo cantiere aperto, caleidoscopio che è una parabola d’arte, studio e di vita iniziata nel ’98 analizzando il potere del sogno e quindi il rimbalzo tra realtà e finzione, tra vita e palcoscenico.  L’8 marzo, il giorno del suo compleanno (era nato per caso in Tunisia nel 1933), si apre ufficialmente una mostra installazione che abiterà i foyer delle tre sale: bozzetti, modellini, disegni, foto, costumi, condividendo la memoria della sua ispirazione.

Il 17 marzo nella sala Melato, alcuni dei suoi attori (Branciaroli, la Crippa, Marinoni, Ranzi, Popolizio) rivivranno in lettura scene di 4 suoi spettacoli allestiti al  Piccolo (La vita è sogno, Lehman trilogy, Lolita, Il candelaio) oltre a due nati a Roma (Verso Peer Gynt e Questa sera si recita a soggetto), dove ci sarà una serata analoga.

È utile ricordare e vedere, costituire un flusso di memoria con alcuni pezzi video, come in un’ideale biografia del maestro che quando andava a vedere un suo spettacolo, dopo il debutto, commentava sempre “non era così”. E c’è poi l’atteso libro del Saggiatore, con le sue maggiori interviste, in uscita il 14 maggio, 78mo compleanno del Piccolo, presentato nel ridotto dei palchi della Scala, mentre un numero speciale della rivista scaligera a cura di Mattia Palma sul lavoro di Ronconi lirico sarà presentato al Chiostro Vinchi.

E e nello stesso luogo Margherita Palli e Marco Rossi, il 16 maggio, faranno un’escursione nelle scenografie, tra botole, porte e pedane, macchinerie, auto, tranelli nascosti ed effetti speciali, tutta roba che lui riassumeva dicendo: «in scena non c’è niente, due sedie».

Intanto su Rai 5, unica rete che prende a cuore la storia del teatro, è in corso una ricchissima programmazione di rari documenti e spettacoli commentati dallo stesso Luca, come i “6 personaggi”. Ronconi, a parte le tournée di quando faceva, annoiandosi a morte, il giovane attore (Il diario di Anna Frank, lo scabroso per allora The e simpatia), sempre in gara con Corrado Pani e Umberto Orsini, a Milano era arrivato col suo straordinario Orlando fra cavalli e cavalieri che poi conquistarono New York. Quell’Orlando in cui la scena si moltiplicava e il pubblico sceglieva chi ascoltare (Foschi, Aldini, Melato, Piccolo…), la sera del 20 luglio in una affollatissima Piazza del Duomo, cosicché nella stessa sera ci fu l’allunaggio degli americani che il mondo seguì attaccato alla tv, mentre nel suo piccolo anche l’Astolfo di Ariosto viaggiava sulla Luna.

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