Male, bene, è la vita: un racconto in dieci capodanni

In serieTV, Weekend

Visto da lui, visto da lei: abbiamo rispolverato un vecchio format per recensire ‘Dieci capodanni’ una serie spagnola molto riuscita che segue nel tempo due di due, Oscar e Ana, raccontando in modo credibile e ben scritto le stagioni della loro relazione e le dinamiche della loro alleanza

Non sempre servono supereroi, mostri, vip dalla folta barba o influencer maestri di vita, per capire qualcosa in più di noi, a volte basta seguire la storia profonda di un uomo e una donna qualunque, che si tolgono la maschera e si rivelano per come sono dentro.
Accade così che la serie Los años nuevos (in italiano Dieci Capodanni) racconti la travagliata storia d’amore tra Ana e Oscar durante dieci notti di Capodanno, una per episodio, spostando il punto di vista dall’esterno all’interno della loro relazione con un triplo salto carpiato. La sfida è ardua ma l’espediente efficace: i due protagonisti si incontrano il 31 dicembre 2015, compleanno di lui che vuole dimenticare l’ex imbucandosi a una festa. Lì conosce lei, che pure compie gli anni il primo gennaio ed è pronta a festeggiare tutta la notte. Questa coincidenza, rinchiusa dentro a un rigido meccanismo narrativo, serve così a focalizzare al meglio i momenti chiave della vita di entrambi i personaggi. Grazie alla trovata del capodanno, che per definizione segna il passaggio tra ciò che è già successo e ciò che succederà, riusciamo a seguire la loro storia come se vivessimo con loro, giorno dopo giorno, per dieci anni.

Ritroviamo qui Rodrigo Sorogoyen, che con As bestas aveva dato prova di una capacità introspettiva degna dei più grandi registi nordeuropei. Lì raccontava di due visioni del mondo inconciliabili, quella degli abitanti di un paesino di provincia che sono affascinati dalla modernità e quella di una coppia che invece vuole ritornare alla terra. Ora lo scontro è tra la diffidenza di Oscar e la bulimia sentimentale di Ana, ma siamo di nuovo messi di fronte a due posizioni opposte. Nel 2022 si era ispirato a un fatto di cronaca nera e anche stavolta la storia dei due amanti trasuda realismo.
Le loro vite sono calate in un presente storico che trapela in ogni inquadratura. La pandemia per esempio si abbatte sul medico Oscar che non riesce a staccare dal lavoro e spinge Ana a trasferirsi in Francia per ricominciare da capo. Le vicende dei due giovani subiscono gli stravolgimenti epocali proprio come avevano fatto il Sessantotto e gli anni di piombo ne La meglio gioventù, che infatti è citata.
Più che amarsi, Oscar e Ana sembrano legati dal bisogno l’uno dell’altra, da una sorta di dipendenza patologica. L’uomo, figlio di genitori separati che per due anni avevano finto di stare insieme, fatica ora a fidarsi di amici e fidanzate. La donna invece sembra non riuscire a stare bene da sola, a trovare un suo equilibrio interiore al di fuori della dimensione di coppia. Nasce così tra i due un’attrazione indistruttibile che li accompagna dal sentimentalismo giovanile alla complessità della vita adulta.
I due attori, Francesco Carril e Iria del Río, sono bravissimi a reggere sulle proprie spalle tutto il peso di un copione non semplice. Passano da scene in cui le delusioni affettive sono pesanti a quelle di festa dove il tono si fa decisamente più scanzonato, riempiendo di credibilità una gamma di sentimenti quanto mai ampia. Fin dal primo episodio, la narrazione si distingue per il suo realismo emotivo e la profondità psicologica dei personaggi. 
Ma è forse la regia di Sorogoyen il punto di forza della serie. Racconta la storia senza scivolare mai nel patetico e contemporaneamente andando a fondo nell’analisi del rapporto amoroso. Il sesto episodio è incentrato solo su Oscar e il settimo solo su Ana, come per distinguere i due punti di vista. Forse questa è la parte un po’ più debole all’interno del racconto, che nel complesso però resiste a intrighi superficiali e facili tradimenti più tipici delle serie teen.
Capodanno dopo capodanno ci affezioniamo ai due protagonisti, sperando che la loro relazione diventi sempre più forte e che le tappe della crescita li portino ad unirsi sempre di più. Sorogoyen alterna dialoghi serratissimi a scene più intime e rende ogni episodio un piccolo affresco della condizione umana. (Federico Castelnovo)

A circa metà della prima puntata della serie tv spagnola Dieci Capodanni, i due protagonisti Ana e Oscar finiscono a letto, o meglio sul divano. Si sono appena conosciuti e hanno trascorso insieme la prima notte del nuovo anno parlando flirtando e girovagando fra feste e bar di Madrid. Quando finalmente raggiungono l’appartamento di Oscar, la luce filtra ormai dalle finestre. Seduti accanto sul divano, finalmente soli, Ana e Oscar si scoprono l’una all’altro, i loro corpi non possono nascondersi, trovare riparo nella penombra. Sono esposti. Fanno sesso e lo fanno come lo fanno tutti, infilando lingue nelle bocche, infilando mani nelle mutande, stringendo mordendo afferrando gemendo ridendo guardandosi. È una scena intensa. Sarò un po’ distratta io, ma non ricordo da svariato tempo una scena di sesso così naturale, autentica: niente di straordinario, solo straordinariamente vera. Ed è paradigmatica di un’opera dove la relazione fra un uomo e una donna viene “riportata” sullo schermo con rara naturalezza, fedele solo alla capacità di evolversi degli esseri umani all’interno di un rapporto che si srotola lungo una vita, cercando di non perdere troppo di vista il sentiero più che la destinazione.  
Ideata dal regista di As Bestas, Rodrigo Sorogoyen, e scritta insieme a Sara Cano e a Paula Fabro, Dieci Capodanni riprende la consolidata formula del “tutto in un giorno” che abbiamo visto in tanti film, rendendo ciclico l’incontro fra l’anno vecchio (la Noche Vieja) e Capodanno (l’Año nuevo) che è poi l’incontro fra Oscar e Ana, che sin dal primo episodio scoprono di essere ultimo nato del 31 dicembre del 1985 e la prima nata del 1° gennaio del 1986 e già solo questo sembra renderli dei predestinati. 
La Noche Vieja e l’Año nuevo sono dunque l’espediente degli sceneggiatori per riassumere ciò che è stato per i protagonisti e la speranza di quello che potrebbe accadere. Ogni anno la stessa cosa; i piccoli eventi, le emozioni dietro gli accadimenti, le sconfitte e gli insignificanti misteri del vivere sono la trama di un passato che s’incontra con i progetti, gli slanci e le speranze dell’anno che verrà. E Dieci Capodanni riesce benissimo proprio in questo, nell’intento di non aggiungere niente a quel tanto, o poco, che succede nelle vite delle persone. Le vite di Ana e Oscar non hanno nulla di straordinario, eppure nel lento srotolarsi delle loro giornate ci si sente comodi, accolti, a proprio agio, riflessi. Forse questo è il segreto più sorprendente di questa serie spagnola, una noncuranza nei confronti del ritmo serrato al quale ci hanno abituato i tipici prodotti di Netflix e compagnia bella negli ultimi anni, dove attraverso continui colpi di scena, il copione ci accompagna attraverso il classico viaggio dell’eroe. Qui non ci sono eroi, non ci sono crescendi. Ci sono amici, genitori, lavori, viaggi narrati in un’ora scarsa, un’ora in cui con qualche piccola allusione, ma senza l’ansia di spiegare tutto, ci viene svelato da dove arrivano i due protagonisti, cosa si stanno lasciando dietro e cosa stanno iniziando, mentre mangiano i rituali acini d’uva, ognuno che equivale a un desiderio di felicità. 
Ma nella Noche Vieja e dell’Año nuevo c’è soprattutto la materia di cui sono fatti i due protagonisti: Oscar è sempre sul punto di allontanarsi, di rientrare nel comfort del passato, del già vissuto. Solido, affidabile, costante ma anche sfuggente e malfidato. Perennemente divorato dall’insicurezza del suo stesso sentire, ma con uno sguardo che si accende quando la possibilità dell’amore lo sfiora. Ana incarna la curiosità verso ciò che deve ancora accadere, lo slancio, la fiducia, l’entusiasmo che, sì, a volte manca di consistenza, di direzione e di tenacia. Nel primo episodio, ad Ana regalano una grande valigia, vuota, che lei si trascina per tutta Madrid, un po’ il simbolo di qualcosa da riempire, una promessa di futuro che include però sempre uno spostamento, un divenire. Ana e Oscar sono i poli opposti che si attraggono con la stessa forza con la quale a volte si respingono, ma quasi mai con l’intento di farsi male. È la vita che allontana, a volte. E poi ricongiunge, a volte. Loro ci sono semplicemente dentro.
A dare sangue e spirito ad Ana e Oscar sono due attori meravigliosi, Iria del Rio e Francesco Carril, che riescono a non tradire mai i loro personaggi con una interpretazione monumentale, perché questo lavoro deve avergli chiesto ogni briciola dell’impegno e dell’energia che è possibile domandare a un attore. Un impegno che diventa assoluto nell’ultimo episodio, tutto girato in un unico piano sequenza (chiamiamola pure serie tv, ma è grande cinema).
La macchina da presa che non lascia mai Ana e Oscar è come una lunghissima ripresa dei loro dieci anni trascorsi a rincorrersi, quasi a sottolineare come fra le mille vicissitudini di un amore che è andato e venuto, loro non si sono mai persi. In questo episodio, il tempo e lo spazio sembrano finalmente rapprendersi intorno a loro nella stanza d’albergo che li accoglie durante il Capodanno fra il 2024 e il 2025 dove Ana e Oscar si confrontano forse per l’ultima volta nel loro modo di amare e di amarsi. Spesso, quando nomino Dieci Capodanni, mi sbaglio e dico Dieci Comandamenti, sarà perché a volte mi riaffiorano i ricordi dell’ora di religione o forse perché i dieci episodi che compongono la serie di Sorogoyen contengono il decalogo di un’etica del vivere e del sentire che in fin dei conti ci chiede di onorare l’esistenza, lo spirito, l’amore, gli amici e i genitori cercando per quanto possibile di non tradire, di non mentire, di non invidiare, di non volere il male del prossimo tuo.
E come i Dieci Comandamenti raccontano il tentativo di un’alleanza, il senso del rapporto fra l’uomo e lo spirito, Dieci Capodanni racconta l’alleanza e il senso del rapporto fra un uomo e una donna – e gli affetti intorno a loro e il mondo che li circonda – in un dialogo costante che cerca sempre la verità, senza suonare mai falso, mai eccessivo. Forse il grande segreto di questa serie è proprio nella scrittura, sacra!, che non cede mai ad ammiccamenti, a inutili sentimentalismi, a forzature; un’esegesi precisa ed esatta della vita vera, nonostante la fiction sia, per definizione, una finzione. A volte il grande cinema riesce in questo intento e Dieci Capodanni ne è la prova. (Francesca Filiasi)

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