Elena Russo Arman e Christian Giammarini si trasformano a vista nella drammaturgia in fieri di Valentina Diana: odissea nello spazio di uomini e donne che non si sopportano
Un desiderio tra i più costanti dell’essere umano è cercare qualcosa che lo renda pienamente vitale, soddisfatto di sé, a costo di scatenare conflitti con i suoi simili.
Questa continua ricerca della felicità trova pieno accoglimento al Teatro Elfo Puccini nel nuovo progetto di Elena Russo Arman, regista e attrice in scena ancora una volta con Cristian Giammarini, avvalendosi della drammaturgia di Valentina Diana.
I protagonisti de La palestra della felicità non hanno nome o cognome, possono essere anche solo A e B, donna X e uomo Y, proprio per sottolineare quanto le loro pulsioni non siano estranee a coloro che li osservano così da vicino, anzi quanto siano in realtà solo apparentemente celate. A e B indossano i panni, assumono i ruoli di individui non lontani dalla quotidianità, così come le loro diversità scatenano un conflitto intriso di rabbia, desiderio di sopraffazione che li destina, come precisa la stessa regista Elena Russo Arman, «a ripetere in eterno un rituale di violenza e autodistruzione».
Infatti, che siano una madre castrante nei confronti del figlio o una coppia che ha perduto completamente la via, A e B si trasformano, si ricreano ogni volta in situazioni e maniere diverse, ma sembra che l’unica possibilità di sopravvivenza sia inesorabilmente l’annullamento l’uno dell’altra.
Un gradito apprezzamento va all’originalità della scrittura drammaturgica, che Valentina Diana rende sapientemente ironica, tagliente e mai assente di ritmo, dall’inizio alla fine.
Ciò non potrebbe essere meglio valorizzato dal sodalizio artistico di Elena Russo Arman e Cristian Giammarini, i quali, dopo Angels in America e Improvvisamente, l’estate scorsa, ritornano ancora una volta con successo sul palcoscenico: come X e Y si cambiano continuamente in scena, “a vista”, con tanto di parrucche, abiti, scarpe, dando nuove e ricche sfumature all’esplosione dei conflitti.
In questo “gioco al massacro” dai toni grotteschi, paradossali nessuno esce pienamente vincitore senza aver annientato l’altro, eclissando la ragione per cui tutto è cominciato: voler essere felici.