L’Espressionismo Tedesco: sì e no

In Arte

Una gita a Genova? Vale la pena fare un salto alla mostra dell’Espressionismo Tedesco a Palazzo Ducale. Qui un piccolo viaggio attraverso tre dipinti.

Si esce scossi dalla mostra sull’Espressionismo Tedesco di Genova perché quei quadri emozionano ancora, ci riconosciamo nei sentimenti, nella visione del mondo e nel modo drammatico di rappresentarli.

Ernst Ludwing Kirchner, Fränzi e Marcella, 1910.
Ernst Ludwing Kirchner, Fränzi e Marcella, 1910

Al di là dell’inquadramento storico, della bravura tecnica, della fama che senz’altro esistono e aiutano ad apprezzare un’opera d’arte, di fronte a queste opere si prova un’immediata affinità, più fisica, emotiva, che intellettuale. Il discorso forse è un po’ troppo astratto, ma in qualche modo spiega la particolare intensità e modernità di questi artisti.

Una precisazione: la mostra è propriamente solo su Die Brücke, “Il Ponte”, il primo periodo soltanto dell’ Espressionismo Tedesco. Un nome importante, che già in sé allude ad un passaggio, da una sponda all’altra: importante è lasciarsi alle spalle il passato e andare verso il nuovo, ancora ignoto.

Espressionismo tedesco
Max Pechstein, Il Convento di Monterosso a Mare, 1913 ca

I fondatori, ragazzi sui vent’anni, troppo fantasiosi per continuare a studiare nell’ingessata facoltà di Architettura– siamo nel 1905 – si mettono a disegnare da autodidatti.  Non fanno dichiarazioni di poetica: “… vogliamo conquistarci libertà d’azione e di vita di fronte alle vecchie forze, così difficili da sradicare. Accogliamo tutti coloro che, direttamente e sinceramente, danno immagine al loro impulso creativo”. Per loro dipingere significa esprimere quello che hai dentro: pulsioni, passioni, angosce; non quello che vedi fuori, all’esterno: la natura, un paesaggio, un viso. Per far questo buttano via tutta l’arte precedente, ma insieme, in realtà, prendono un po’ da tutti.

Non di certo, però, dal pomposo classicismo del Secondo Reich. Non dalla pedante accuratezza accademica. Neanche dalla “superficialità” dell’Impressionismo. Sì da Van Gogh, dalla sua tavolozza di colori puri, spremuti dal tubetto direttamente sulla tela, dal suo segno spezzato, dalla sua follia. Sì da Munch, dal suo desolato esistenzialismo, dall’ombra minacciosa della morte su tutto. Sì dai pittori e incisori del Rinascimento Tedesco, come Dürer e Cranach, di cui riprendono temi e tecniche: dalla xilografia, all’incisione su legno che permette linee profonde, cariche di inchiostro. Sì dalle xilografie giapponesi dell’ukiyo-e: colori puri, carenza di prospettiva, sorprendenti inquadrature diagonali. Sì dalle sculture africane, dal primitivismo ancestrale.

Espressionismo Tedesco
Ernst Ludwing Kirchner, Artista (Marcella), 1910

Die Brüke punta direttamente all’essenziale: linee asciutte e taglienti, contorni definiti, figure e paesaggi carichi di energia, sfigurati da passione, sensualità, smarrimento; nessuna decorazione inutile; colori innaturali, accostati e stesi con violenza. Basta guardare Ernst Ludwing Kirchner, un po’ il capo del gruppo, anche se all’interno non erano ammesse gerarchie: Artista – Marcella è una ragazza in verde, accoccolata su una poltrona verde, in una stanza verde.

Pesanti linee di contorno nere. Lei ha il mento appoggiato sul palmo della mano come l’iconografia della Melancolia di Dürer, ma è seduta tutta storta, scomposta, con le gambette esili che spuntano da un vestitino a righe, i calzettoni ciondoloni, con delle inconsulte pantofole rosse; è di profilo con un occhio perso nel vuoto. Tristissima. Fa impressione perché è in una stanza normale, in una posa normale: il ritratto dell’ordinaria desolazione. Il gatto bianco sul bracciolo della poltrona è nella sua stessa posizione, probabilmente nello stesso stato d’animo.

Espressionismo tedesco
Emil Nolde, Tronchi bianchi, 1908

E la Fränzi distesa di Erich Heckel? Una xilografia di una donna nuda su una coperta rossa: il bianco corpo gracile si racchiude, ferito da pesanti linee nere; il viso duro è negroide, i buchi neri degli occhi trafiggono. Nero lo sfondo, completamente piatto: donna e coperta scivolano giù, nel vuoto. Infine Emil Nolde, con Tronchi bianchi: i rami contorti e spogli, il groviglio tempestoso delle foglie morte sanguigne, la materia pittorica così densa da sembrare carne in putrefazione, ci richiamano la foresta infernale del canto XIII della Divina Commedia:

Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco
….
Allor porsi la mano un poco avante,
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ‘l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi …

“Da Kirkner a Nolde. Espressionismo Tedesco 1905-1913”, Genova, Plazzo Ducale, fino al 12 luglio 2015

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