Con “I 100 delitti di Milano” i giornalisti Accorsi e Ferro imbastiscono una carrellata noir che è anche una lezione di storia
Già noti per altri libri sulla malavita meneghina, come Milano criminale o I personaggi più malvagi della storia di Milano, Andrea Accorsi e Daniela Ferro, entrambi giornalisti di professione, si confermano duo assodatissimo in questa raccolta de I 100 delitti di Milano, edito per Newton Compton.
Si tratta di una carrellata di morti ammazzati, è vero, ma la bravura dei due autori rende piacevole la lettura sia per l’ottima capacità di sintesi (nessun “delitto” occupa più di due-tre pagine) sia per l’estrema attenzione con cui viene ricostruito il contesto cittadino. Ne viene fuori una storia di Milano e della sua società attraverso attraverso le morti più significative cui la città ha assistito. Si parte «agli albori del Cristianesimo» con lo strano caso del Vescovo Calimero, si passa per la Milano rinascimentale e i suoi signorotti uccisi senza pietà, e su su fino ai giorni nostri per chiudere con il tragico suicidio-omicidio del brasiliano Pietro Maximilian Di Paola avvenuto ad Affori lo scorso settembre, quando il ragazzo si buttò dall’ottavo piano, trascinando con sé l’ex fidanzata, volendo rivivere nella morte l’ultimo brivido d’amore.
Grande spazio è dedicato al Novecento e in particolare agli anni ’60, ’70, ’80 e credo che in queste pagine sia il meglio del libro, proprio per quel merito cui s’accennava di far combaciare ricostruzione storica, analisi sociologica e fatti processuali. Esemplare il delitto n°48: nel descrivere la morte di Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, abituali del Leoncavallo, Accorsi e Ferro non si limitano alla stranezza dell’episodio, ma si sforzano di far percepire l’atmosfera di quel marzo 1978, epoca in cui l’uccisione di due diciannovenni poteva nascondere loschissime trame politiche mai del tutto svelate. E lo stesso per quanto avvenne esattamente due anni dopo al giudice Galli, ucciso fuori dall’aula universitaria 309 della Statale.
Erano gli anni delle mille contraddizioni, quando tutto potrebbe sembrare collegato ma forse nulla era razionalmente spiegabile. Erano gli anni che avrebbero portato alla fine della modernità e delle prima repubblica, quando gli ideali portavano a uccidere, finché l’ideologia uccise anche se stessa. Ogni morte ha la sua epoca e risponde a un certo spirito, sembra insegnarci questo libro: i delitti intrecciati di BR e gruppi neofascisti, simboli di un’età in cui la rabbia trovava sfogo in organizzazioni politicamente e ideologicamente schierate, si trasformano nei delitti più personali e molto meno calibrati dei nostri anni, propri di un’età in cui la rabbia non cerca né vuole canali prestabiliti nei quali esplodere, preferisce esplodere immediata. Come nel caso del taxista Luca Massari massacrato e ucciso di botte per aver involontariamente investito un cane. O come la strage mattutina di Kabobo, cruda rappresentazione della rabbia di extracomunitari e di tutte quelle persone che, non trovando spazio nella nostra società, la colpiscono caoticamente e casualmente. Kabobo alle 6:30 di un qualsiasi mattino milanese ha ucciso con un macete quattro persone, tre ferite, senza nessun movente. La furia irrazionale, rimossa dalla nostra società ipertecnologica e iperazionale, si ripresenta sotto le forme più estreme.
La lettura è dunque consigliatissima per i curiosi e gli appassionati del genere, ma anche chi volesse partire da queste storie insanguinate per interesse verso uno specifico contesto storico e sociale non rimarrebbe deluso né privo di spunti di riflessione.
Immagine: Torre Velasca di Thierry Bignamini