Una principessa per il Risorgimento

In Teatro

Anna Bonaiuto porta in scena il monologo di Fiore su Cristina Trivulzio di Belgioioso, mente illuminata dei salotti ottocenteschi milanesi. Ma se manca un po’ di brio…

Un’eroina da romanzo, da feuilleton, la cavallerizza che con un pugnale nella giarrettiera cavalca nella notte. Questo voleva essere Cristina Trivulzio, principessa di Belgioso, personaggio chiave del Risorgimento italiano nonché simbolo ante litteram di un’emancipazione femminile spregiudicata e coraggiosa. Aspirava a vivere tutto, voleva essere tutto: un’ambizione che per una donna di inizio Ottocento, anche se assai ricca e istruita, non poteva che destare scandalo, intimorire i più, generare perfino odio. Eppure, il fascino della sua personalità, del suo temperamento indomito, riuscì a fare breccia nel cuore degli intellettuali e dei patrioti che le gravitavano intorno.

Attratti dalla sua bellezza impertinente ─ forse perché vi indovinavano gli stessi connotati di autonomia e libertà che inseguivano negli ideali ─ dal suo salotto passarono Mazzini, Gioberti, Cattaneo, ma anche artisti del calibro di Stendhal, Balzac, Listz. Nella sua vita l’impegno politico si mischia dunque allo stimolo intellettuale, la sfera del pubblico a quella del privato trasformando il personaggio di Cristina in emblema di passione civile e conferendo alla sua figura un’aura quasi leggendaria. Il suo vitalismo ha le sembianze di un vortice che tutto risucchia, si fa quadro cangiante nella cui cornice la signora di Belgioso appare ora come la “milanese verdastra” (a causa della sifilide contratta dal marito libertino a vent’anni), ora come una cortigiana, ma anche nei panni di musa, di raffinata progressista, di “bellezza affamata di verità”.

Troppe identità per una sola donna? “È lecito contraddirsi: basta che la contraddizione non cada sulla stessa pagina” chiosa sulla scena Anna Bonaiuto, chiamata a interpretare La belle joyeuse nel monologo scritto e diretto da Gianfranco Fiore. Con aria civettuola, a tratti leziosamente altezzosa, la Bonaiuto passa in rassegna gli episodi più significativi dell’esistenza della Trivulzio quasi si trattasse di esporre un ecletticissimo curriculum vitae. La Storia però rimane sullo sfondo: ciò a cui si vuol dare rilievo è la fisionomia psicologica, la passionalità irriducibile della donna. Fiore e Bonaiuto provano a suscitare l’empatia del pubblico avvicinandolo sentimentalmente a un personaggio distante nel tempo, le cui cronache sono assai meno note di altri nomi-simbolo dell’unificazione d’Italia.

Eppure ciò che sembra mancare allo spettacolo è proprio il brio, il coinvolgimento: la Bonaiuto, la cui sensibilità espressiva non ha bisogno di presentazioni, sembra costretta a vibrare sottotraccia. Strumento in sordina, si affida a una cadenza di mestiere dal vago sapore partenopeo in cui l’ironia aleggia senza troppo vigore. Ma il vero responsabile di una rappresentazione pallida è il montaggio: per ogni episodio uno stacco, un buio di scena, un breve intervallo musicale. L’effetto è quello delle diapositive mostrate, dopo un viaggio, agli amici: entusiasmanti per chi le ha vissute, meno per gli astanti.

La belle joyeuse di Gianfranco Fiore con Anna Bonaiuto. Fino al 2 aprile al Piccolo Teatro Grassi

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