Da Londra magnifico allestimento di “Ascesa e caduta della città di Mahagonny”, profetica parabola sul capitalismo del ’27. Nel ’64 la famosa edizione scaligera di Strehler
Si plachi l’entusiasmo di chiunque speri in una ripresa milanese: per il momento si tratta solo di una diretta al cinema dell’ultimo debutto del Covent Garden, Rise and fall of the city of Mahagonny.
Produzione di gran pregio, con regia di John Fulljames e scene di Es Devlin – che tra gli altri ha lavorato con Kanye West, Pet Shop Boys e Gaga: speriamo tutti che alla Scala venga in mente di ospitarlo.
Da principio soltanto Piccola Mahagonny in un unico atto, ma dopo il trionfo del ‘28 dell’Opera da tre soldi venne risistemata e ampliata dai suoi autori Brecht e Weill. Così nacque un inclassificabile capolavoro in bilico tra l’opera lirica e il dramma, messo in scena a Milano per la prima e ultima volta più di cinquant’anni fa da un triestino che lavorava al Piccolo.
In questa produzione la parte iniziale sulla fondazione della città è risolta scenicamente con un camion che ruota sul palco e all’occorrenza si apre lateralmente trasformandosi in un piano bar o nella cabina di un aeroplano. Altrimenti la fiancata del camion funge da schermo per le fondamentali indicazioni didascaliche dell’autore. Secondo e terzo atto riportano invece la rovinosa parabola di questa Sodoma del West, ormai rappresentata da un ammasso di container che permettono di sviluppare l’azione su più livelli.
La regia è opportunamente maleducata, con costumi esagerati e parrucche variopinte. Magnifici e disturbanti i passaggi su cibo, sesso, violenza e alcool nel secondo atto. Miracolosamente non infastidiscono nemmeno un po’ le pur abbondanti proiezioni metereologiche durante la scena del tifone, in cui si insiste sulle più recenti conseguenze del cambiamento climatico – riferimento scontato ma inevitabile.
Davvero efficace infine il martirio conclusivo di Jimmy McIntyre, qui il tenore Kurt Streit, dalle grandi doti recitative. Invece che su una sedia elettrica Jim viene appeso a dei cavi elettrici con le braccia in posa di crocefissione, come se Fulljames rappresentasse una Passione appena appena blasfema per un blasfemo profeta di (immorali) libertà. Se in più si tiene conto che l’ultima cena di Jim è una sbronza collettiva in cui ci si dimentica di pagare il conto apprezziamo ancora di più l’ironia del riferimento, soprattutto in periodo pasquale.
Sempre il nostro triestino diceva che il teatro di Brecht può essere realizzato solo accettandone la «fondamentale caratteristica di scienza della realtà in movimento», ovvero senza privarlo della sua dialettica. Chi fa Brecht non può permettersi di indietreggiare di fronte alla politica, alle provocazioni e alle volgarità di testo e canzoni.
Non esiste un Brecht edulcorato o intimista, qui siamo a teatro e – può sembrare un paradosso – tutto quello che accade è reale, senza alcuna possibilità di malintesi: Mahagonny non è un’allegoria, Mahagonny è un fatto.