Una meravigliosa Ariane Ascaride nel film di Stefano Consiglio, remake di Fassbinder, a sua volta remake di Sirk: e qualcosa si perde in tutti questi passaggi
È sul volto bello e maturo di Adriana (una meravigliosa Ariane Ascaride) che si apre L’amore non perdona di Stefano Consiglio, e su una scena di sesso, costruita per dettagli, senza grandi esibizioni di corpi nudi, ma non per questo meno esplicita.
Lei, sessantenne, vedova, infermiera italiana di origini francesi, fra le braccia di Mohamed (Helmi Dridi), bel ragazzo muscoloso di trent’anni più giovane, marocchino immigrato da Tangeri in cerca di lavoro e di futuro.
Due solitudini che si incontrano e subito scatta la scintilla, poi l’amore travolge ogni prudenza, come in qualsiasi meló che si rispetti, fino a decidere di condividere tutto e di sposarsi. Ma insieme alla passione che brucia, ecco moltiplicarsi gli ostacoli: la figlia di Adriana (Francesca Inaudi) fugge inorridita urlando insulti e maledizioni, la famiglia di Mohamed siede muta e ostile, giudicando senza appello e nemmeno una parola; e poi colleghi di lavoro e amici, parenti e vicini di casa, tutti variamente sospettosi, razzisti e incattiviti.
Quasi nessuna voce si alza in difesa di questo amore che infrange troppi tabù: di età, classe sociale, etnia e religione. Che forse potrà trovare in se stesso la forza di sopravvivere, ma non è detto, perché nessuno può davvero far a meno degli altri.
Stefano Consiglio, documentarista di lungo corso, firma qui il suo primo lungometraggio e decide di lanciarsi – senza dichiararlo – in un’operazione piuttosto curiosa: prende un film del 1973, La paura mangia l’anima di Rainer Werner Fassbinder, e lo rifà con minimi aggiornamenti (inserendo per esempio qualche riferimento all’attuale paura del terrorismo islamico), ma senza dimostrare particolare coraggio, affastellando scene già viste (nel film di Fassbinder), sequenze romanticamente banali e colpi di scena scontati.
Soprattutto dimentica che il film di Fassbinder era a sua volta un – dichiaratissimo – omaggio a Secondo amore di Douglas Sirk, un film del 1955, che vedeva protagonista Rock Hudson (ben lontano dalla rivelazione della sua omosessualità e dalla morte per Aids) giardiniere trentenne che si innamora della sua ricca datrice di lavoro, la quarantenne Jane Wyman.
In tutti e tre i film la tentazione del lieto fine è evidente, così come il bisogno di affrontare la questione dello scontro di classe (fra borghesia e proletariato nell’America degli anni ’50 e fra piccola borghesia e immigrati arabi nella Germania degli anni ’70 esattamente come nell’Italia del 2015) ma solo Fassbinder è così temerario da porre sotto la sua lente da entomologo – tenero e al tempo stesso feroce – quello che è il vero insuperabile scandalo: l’amore fra una donna vecchia e un uomo giovane.
Negli anni ’50 bastavano dieci anni di differenza per gridare allo scandalo, adesso ce ne vogliono trenta: ma, nella sostanza, forse è davvero cambiato troppo poco.