A venticinque anni dalla caduta del Muro, Berlino non sembra conservare le tracce del passato. Siamo tornati sui luoghi delle sue ferite e della sua storia rileggendo “Lettera a Berlino” di Ian McEwan
Renzo Piano, l’architetto che ha ridisegnato Potsdamer Platz, simbolo della Berlino divisa durante gli anni della guerra fredda, in un grande centro commerciale, vetrina della nuova Berlino, una volta ha dichiarato: «Berlino è una città che ha sempre voluto cancellare le tracce delle sue sconfitte. È una città che ha sempre avuto voglia di innocenza».
Riflettendo su queste parole viene da pensare che non sia stato un caso che nel 1989, anno della caduta del Muro, lo scrittore inglese Ian McEwan abbia scelto proprio Berlino per raccontare la storia di Leonard Marnham, l’eroe innocente di Lettera a Berlino. E vale la pena rileggerle oggi quelle pagine per capire cosa c’è dietro la facciata moderna di Potsdamer Platz, i viali tirati a lucido della ex-Berlino Est, le atmosfere frenetiche del Kudamm.
L’ambiente nel quale si svolge la vicenda è quello della guerra fredda: siamo nel 1955, la seconda guerra mondiale è finita da una decina d’anni ma le tracce dei bombardamenti sono ancora visibili. Il Muro, quello fisico, non esiste ancora ma la città è divisa fra il blocco occidentale e quello sovietico. Per andare da una parte all’altra bisogna passare i controlli della polizia di frontiera, cambiare i marchi e poche sono le persone, di qui e di là, di cui ci si può fidare.
Qui arriva Leonard Marnham, un giovane tecnico britannico inviato a lavorare a un progetto di sorveglianza. Leonard ha 25 anni e prima di allora non era mai uscito di casa (in Inghilterra viveva con i genitori in una villetta della piatta Tottenham), non aveva mai avuto una relazione con una donna, e i suoi sentimenti si erano spinti al massimo al commento su un film o sul sapore del latte. Leonard è consapevole della sua mancanza di esperienza e cerca di scimmiottare atteggiamenti e toni virili ma in un mondo alla deriva, per McEwan, l’ingenuità di Leonard è uno stato d’animo pericoloso affine alla stupidità o, persino, all’amoralità.
Nel buio del tunnel sotterraneo dove lavora al progetto top secret (si tratta del tunnel sotterraneo di Berlino, ovvero l’Operazione Oro che Cia-MI6 misero in piedi per circa un anno), Leonard acquista un nuovo senso di responsabilità, che però è solo apparente: egli è in realtà una pedina fra gli interessi americani e inglesi. Quando viene iniziato alle gioie del sesso da Maria, una giovane tedesca, l’amore si confonde con emozioni perverse, il desiderio di dominare la donna (come l’Inghilterra ha piegato la Germania). Ma la sua esistenziale inesperienza lo porterà a commettere anche un atto atroce (la macabra uccisione di Otto, l’ex marito di Maria) che segnerà per sempre la sua vita. Eppure, fino alla fine, fino a quando Leonard trent’anni dopo riceverà una lettera da Maria e tornerà a Berlino, lui continuerà ad aggrapparsi all’idea di innocenza.
Mentre siamo in attesa dell’ultimo romanzo di McEwan (La ballata di Adam Henry, in uscita a a fine novembre per Einaudi), ripercorrere i luoghi significativi della Berlino devastata dalla guerra e divisa fra gli interessi delle grandi potenze, porta a riflettere su un tema caro allo scrittore: il significato dell’innocenza, che è l’atteggiamento di chi non vuole assumersi le proprie responsabilità, nascondendosi dietro una facciata di spensieratezza, come quella che lo scorso week end ha festeggiato il venticinquesimo anniversario della caduta del Muro con una cortina di palloncini bianchi: «simbolo di speranza di un mondo senza muri». Ma molti muri, anche se non fisici, dividono l’Europa (del nord, del sud, dell’est). E Berlino dovrebbe saperlo.
“Lettera a Berlino” di Ian McEwan (Einaudi, pp.259, 8,50 euro, ebook 6,99 euro)