Passione, malinconia e soprattutto buon cinema in “Sarà il mio tipo?” di Lucas Belvaux, storia di un’attrazione tra opposti, il filosofo e la parrucchiera
Clément e Jennifer: l’uomo che legge e la donna che corre. Così potremmo definire i due protagonisti di Sarà il mio tipo? di Lucas Belvaux. Lui (Loic Corbery), professore di filosofia bello, compassato e raffinato, è un intellettuale parigino snob fino al midollo, in esilio per un anno in una cittadina della profonda provincia francese; lei (Emilie Dequenne), parrucchiera con la passione del karaoke, ha un bambino piccolo e neanche uno straccio di marito, e va sempre di fretta per cercare di tenere insieme lavoro, vita e qualche sogno.
Contro ogni previsione le due traiettorie si incrociano, e l’amore scoppia come una bomba. All’inizio pare che Cupido e le sue frecce possano produrre miracoli, ma poi le cose si complicano. Sembra semplice: lui declama a voce alta Proust e Zola, lei lo trascina in discoteca e intanto gli riassume i principali gossip sui divi del momento; poi lei si mette a leggere Kant e lui cerca di imparare a ballare. Ma si sa che la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni: e lo scontro fra cinismi intellettuali e sentimentalismi da rotocalco può produrre autentici disastri. Ma pure un film intelligente, profondo e divertente, che costeggia i cliché senza mai caderci dentro e fino alla fine riesce a sorprendere.
Arrivati a questo punto si impone un avviso ai naviganti, o meglio agli spettatori: questa non è una commedia romantica! Per un po’ lo sembra, ma ben presto la sua vera natura viene fuori: non un confortante film d’amore, piuttosto un malinconico film sull’amore.
Perché L’interesse principale di Lucas Belvaux, regista e sceneggiatore abile e sensibile, anche se praticamente sconosciuto al pubblico italiano, è infatti quello di esplorare il sentimento amoroso in tutte le sue possibili traiettorie, mettendo in scena due persone che non potrebbero essere più diverse, ma tenendosi alla larga dal giudicare. Con un approccio squisitamente filosofico, (ma attenzione, mai cervellotico!) le ragioni di Clement e di Jennifer sono messe a confronto senza bisogno di stabilire chi ha torto e chi ha ragione, solo per il gusto di pensare, di riflettere su noi stessi, sulla vita e sul mondo.
Certo, come direbbe l’Amleto di Shakespeare, è vero che «ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la tua filosofia». E una delle cose che stanno sotto il cielo e sopra la terra, e che per la filosofia rimane in larga parte inspiegabile, è proprio l’amore. Ma a volte, dove la filosofia fallisce, riesce la letteratura.
Basta pensare alle parole con cui si conclude Un amore di Swann, il frammento più famoso della Recherche di Proust, quello in cui il narratore racconta il disgraziato amore fra l’aristocratico Charles Swann e la cocotte (oggi diremmo escort?) Odette de Crécy e dopo una fitta serie di andirivieni amorosi, vicissitudini e inganni, si conclude con queste celeberrime parole: «E dire che ho sciupato anni della mia vita, ho desiderato di morire, ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo!»