La Dep Art segue il “fil rouge” della produzione di Pino Pinelli dagli anni ’70 a oggi. Un percorso monocromatico tra forme geometriche e tecniche segrete
La retrospettiva Antologia Rossa che la galleria Dept Art dedica all’artista Pino Pinelli ha due pregi fondamentali: il primo è che ne ricostruisce l’intero percorso artistico dai primi anni ’70 fino a oggi; il secondo è che la scelta di esporre opere in un solo colore, il rosso, risulta felicissima: ci aiuta a concentrarci, a seguirne meglio rotture e sviluppi.
Il gallerista Antonio Addamiano è riuscito a recuperare da collezionisti, mercanti e aste opere storiche di cui si erano perse le tracce e, insieme, a far rivivere la personalità complessa, la ricerca formale e di significato di Pinelli.
Per promuovere la mostra, oltre all’archiviazione sul web dell’intero corpus e al catalogo ragionato dell’esposizione, ha fatto ricorso a mezzi così tradizionali da essere ormai caduti in disuso, come l’esposizione di un enorme striscione pubblicitario che attraversa corso XXII marzo, nei pressi della galleria, e la stampa di calendari con altre opere dell’artista. Tutto, insomma, contribuisce a farcelo conoscere.
Si comincia con Topologia del 1973, in cui le diverse intensità di rosso si condensano in spirali: l’acrilico ‘nebulizzato’ con l’aerografo crea un magma in espansione che preme contro una linea nera irregolare. È un confine incerto, una non-cornice che prova a trattenerle invano. Il resto della tela è lasciato bianco. Si avverte l’insofferenza per lo spazio definito del quadro e anche per la ripetitività di certa pittura monocroma.
Come scrive Alberto Zanchetta nel catalogo: «Negli anni Settanta, artisti come Pino Pinelli si avvedono del limite imposto dal telaio del quadro stesso; rispondono quindi con una deflagrazione e uno sconfinamento in grado di dare corpo alla pittura, rendendola materia (più ancora che materica)».
«Pinelli, ad esempio – prosegue –, avverte l’esigenza di rifondare la natura stessa della pittura, i suoi presupposti, prefigurandone gli sviluppi futuri e tutte le diramazioni possibili. Ancor oggi, la sua è una pittura ‘pensata’ in relazione allo spazio espositivo, ‘progettata’ per vivere in sinergia e in simbiosi con l’architettura».
Abbandonato il contenitore, la pittura è libera di comporsi sulle pareti, ma, a questo punto, anche il supporto della tela non è più sufficiente e comincia una ricerca di materiali, di rilievi plastici, che permettano al colore di espandersi, sfrangiarsi, impregnarsi. I primi materiali sono sottilissimi, fragili: si chiamano Disseminazioni. Scaglie di pittura ridotta a frammenti sono sparse sulla parete come dal gesto del seminatore; in realtà, ogni composizione segue precisi schemi di montaggio su disegni dell’artista.
Troviamo poi morbide forme ovoidali, frammenti di quadrati dai bordi sfrangiati disposti in strane costellazioni: il colore è dato con la tecnica del floccaggio, un processo elettrostatico che dà una consistenza come di velluto. Pinelli tiene segreta la formula dei materiali che usa, simile a quelli utilizzati dalla NASA per i progetti spaziali.
Le ultime composizioni a strisce e a croci sono realizzate in supporti durissimi, indistruttibili, impregnati di rughe, promontori di colore morbido e sensuale e si espandono sulle pareti in calcolate attrazioni/espansioni.
Pino Pinelli, Antologia rossa: Galleria Dep Art, via Mario Giuriati 9, fino al 30 maggio