La band torna con un regalo che vale l’attesa di dodici anni.” The Magic Whip” è un disco che ti lascia con le lacrime agli occhi
Cosa spinge una band a riformarsi? A volte sono i soldi, a volte la noia. Sarò ingenua, ma secondo me per i Blur nessuna di queste due cose ha avuto importanza. Data l’esplosione di creatività che ha interessato Damon Albarn, ma non solo, dopo lo scioglimento della band nel 2003, avverto nella reunion un desiderio di “aggiornare”, ridefinire la band alla luce di tutto quello che si è imparato. E infatti, ecco spuntare The Magic Whip, primo album in dodici anni: non solo un attesissimo ritorno, ma un’evoluzione, un nuovo inizio.
Dopo dodici anni, infiniti progetti solisti, supergruppi, opere basate su romanzi cinesi del 16esimo secolo, sarebbe assurdo aspettarsi un album che sia semplicemente “alla Blur”, come ce li ricordiamo da Think Tank del 2003. In The Magic Whip troviamo infatti gli ingredienti che caratterizzavano i Blur del periodo d’oro, assieme a tutta la sperimentazione, dai Gorillaz all’indie spigoloso del Coxon solista, del periodo post-Blur.
Prendiamo Ice Cream Man, quarta traccia del disco, come esempio: se i tocchi di elettronica minimal che dominano la prima parte della canzone ci ricordano Everyday Robots, album solista di Albarn, il suono inconfondibile della Telecaster di Graham Coxon riporta un sapore indie, prettamente metropolitano. Ecco la nuova miscela Blur, sospesa tra atmosfere auree di altri mondi e l’asfalto bagnato della loro Londra. Il singolo, Go Out, è proprio così: concettuale ma leggero, sofisticato ma lo-fi allo stesso tempo
Tutto l’album segue questa linea estetica; eppure non solo la cosa non risulta ripetitiva, ma la qualità del disco è un continuo crescere, traccia dopo traccia. Lonesome Street ci fa fare un giro sull’altalena, tra l’adrenalina della chitarra graffiante di Coxon e il testo di Albarn, che cattura la solitudine del mondo consumistico. My Terracotta Heart è, invece, forse il pezzo più intimistico del disco, ma la scossa elettrica della chitarra pizzicata rimane, e ci lascia tra il dolce e l’acido, tra estasi e ansia.
Le melodie incantate di Ghost Ship, dove la voce di Albarn mostra tutta la sua maturità, toccano le corde del sublime. Che rimane fino alla chiusura: Mirrorball amplia le atmosfere e apre un precipizio di emozioni, lasciandoci con le lacrime agli occhi a premere play e ricominciare l’album da capo, all’infinito. Ed è così che i Blur si proiettano nel futuro, e noi con loro.
Blur, The Magic Whip ( Parlophone)
Foto di Francisco Alvarez Raineri