Il sentimento della crisi attraverso la storia di un fotografo che va a ingrossare la schiera dei nuovi poveri in un film sull’Italia smarrita di oggi
«Io penso che, ai tempi della crisi, c’è richiesto di cadere, di rialzarci e di riprendere a camminare. E che lo facciamo da soli, terribilmente da soli perché la politica se non è proprio tutta colpevole è però fragile, e così le reti sociali di sostegno e persino chi ci sta accanto è indaffarato a nuotare, come noi, verso la riva. Ecco Let’s Go non è un film sulla crisi, ma sul sentimento della crisi». Cosi Antonietta De Lillo, regista di un film che parla dell’Italia smarrita di questi anni attraverso una vicenda che ha molto da dire su come si affronta il mare in burrasca dentro e intorno a sè.
La storia del film, per prima cosa: Luca Musella è un fotografo, bravo, affermato, copertine delll’Espresso e di Stern e progetti di livello, per capirci. Ha una buona vita, un lavoro, una moglie, tre figli. E un progetto editoriale che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto garantire futuro e soddifazioni. Non va così: la libreria aperta a Viterbo non decolla, i soldi finiscono, il matrimonio naufraga. La vita inciampa insomma e se ne apre un’altra: Luca è ora un nuovo povero, direbbero i sociologi. Luca Musella è anche un amico, un collaboratore storico della regista ed è da questa relazione forte che nasce il film: «C’era una mia difficoltà a fare un film di finzione, dopo La pazza della porta accanto, dedicato ad Alda Merini – racconta la regista – e si pensava con Luca di partire da questo. E invece abbiamo girato la macchina da presa, puntandola sulla sua vita».
Dunque Milano, la nuova città di Luca che è napoletano, dunque il nuovo mondo di chi si sveglia la mattina senza due euro in tasca e deve sfangarla, dunque le nuove relazioni con un mondo popolato di persone – italiani, stranieri – che hanno una gerachia dura e precisa dalla quale non si può sfuggire: primum sopravvivere, si può dire.
Ne sarebbe potuto venire fuori un ottimo documentario sull’Italia altra, quella sotto l’asticella che misura la povertà relativa, fanno dieci milioni di persone. La differenza invece sta nello sguardo (di regia) e nelle parole (di Luca Musella). E così il film scorre sul binario della cronaca quotidiana costantemente contrappuntata da una scrittura, nutrita, colta, profonda, una sorta di lunga lettera scritta da Musella per raccontare i pensieri, i sentimenti di questo passaggio complesso tra il primo e il secondo capitolo della sua vita. Di cui molte cose colpiscono il segno e fanno scattare identificazione e riconoscimento anche in chi, per sua fortuna, non ha attraversato la stessa esperienza. Una per tutte: quel meccanismo della nostra psiche che non fa percepire fino in fondo, con tutte le sue implicazioni, il trauma, qualunque trauma si stia vivendo. Come un amputato che sente ancora di avere il braccio che non ha più, dice con intuizione perfetta Luca Musella.
«Un film o un documentario? Non ho mai sentito differenza tra realtà e fiction», spiega De Lillo. «Il cinema, a mio avviso, deve raccontare ciò che è invisibile, dare forma a sentimenti stati d’animo. E credo che, anche attraverso il testo scritto da Luca, ci siamo riusciti. Il pubblico mi sembra abbia colto, si sia identificato». Tenere la barra dritta, non cadere nel pietismo compassionevole è una sfida per un progetto del genere: «Ho voluto evitare a tutti i costi il compiacimento, mostrare Luca in un mondo degradato sia dal punto di vista ambientale che delle relazioni. Anzi, lui ed io, ci siamo sforzati di far vedere quello che potremmo chiamare il lato A del suo scivolamento in questa nuova condizione. Che lui ha saputo raccontare senza rancore, da uomo gentile qual è sempre stato, da combattente gentile qual è».
Questo film è in una certa misura anche il documento di una crisi (poco raccontata, forse proprio perchè raccontare di se stessi quando per lavoro si è ritratta o narrata la vita degli altri è più complicato) di alcune professioni. Il fotogiornalismo (come molta editoria) è una di queste: «Di Luca ce n’è in giro tanti, che potrebbero ancora essere utili . Il fotogiornalismo un tempo aveva un suo ruolo centrale e anche una sua capacità economica. Ma non credo che questo, come altri mestieri dell’editoria, sia finito. Si va trasformando, la rete ha cambiato tutto ma ha anche portato una libertà – lo vedo in alcuni blog di cinema – che su altri mezzi non c’è più. L’importante è non cercare di mettere vestiti vecchi su una realtà nuova, ma cambiare visione».
Per concludere: il film conta anche una partnership con un progetto di Libera, la campagna Miseria ladra. Perché uscire dalla crisi richiede politica (e proposte, una per tutte il reddito di cittadinanza) e in giro non se ne veda tanta. «Ho avuto timore – conclude De Lillo – affrontando questo progetto, perché Luca si è completamente fidato di me, avevo in mano il materiale sensibile della sua vita e del suo racconto. Ora vorrei che Let’s Go lo vedessero in tanti, come una medicina che però fa bene».