Torna in scena l’eterno Arlecchino con Soleri, un grande gioco sull’arte e il mestiere del teatro proprio mentre le Maschere diventano caratteri. Lo spettacolo simbolo del Piccolo
Ricordare agli innamorati del teatro Goldoniano che l’Arlecchino Servitore di due padroni sia uno spettacolo indimenticabile non è difficile. Da quel 1963 in cui Ferruccio Soleri, dopo aver sostituito tre anni prima nei panni del protagonista Marcello Moretti diventa titolare di un ruolo, l’Arlecchino, che giunge oggi a quasi 3000 repliche. Nei suoi continui rimaneggiamenti e addizioni, Strehler ci ha regalato un omaggio al Teatro Veneziano che è anche un profondo omaggio al teatro italiano, alle maschere della Commedia dell’Arte, che vede il teatro popolare dell’epoca abbandonare il canovaccio e si appresta a far diventare testo i personaggi, nati dallo sguardo sul Mondo che è vita umana, quotidiana, concreta, coi suoi pregi e difetti.
Strehler ebbe un particolare occhio di riguardo per Carlo Goldoni, mischiando quel teatro popolare con il contesto degli attori fuori scena, in un gioco metateatrale che svela le maschere creando comicità, sia sul palcoscenico che nei controscena o nei fuori scena, svelandone i meccanismi e incuriosendo lo spettatore su quello che è il gioco nel gioco: ecco che il suggeritore prende l’anima del personaggio, gli attrezzisti si adoperano a vista per il funzionamento della scena, i musicisti ascoltano il capocomico e qualche volta steccano, gli stessi attori coi loro gesti e le loro burrascose indicazioni rendono “moderno” il testo.
Della Commedia dell’Arte non si è perso nulla, ma soprattutto, oltre le maschere di Arlecchino, Brighella, Smeraldina, Pantalone, Silvio e Clarice, che tratteggiano tipi psicologici secenteschi e nostrani, l’improvvisazione sui personaggi dalla quale Strehler partì per poi fissare i punti della partitura teatrale, aggiungendo, arricchendo, in memoria della tradizione ma con l’intento di rinnovarla, per appassionare il pubblico. Se c’è qualcosa che è mutato nel tempo è forse il linguaggio, il dialetto che spazia dal veneto al bolognese al napoletano e che si articola in quelle forme provinciali tipiche di comuni, signorie e principati, che nel teatro contemporaneo vengono fuori molto poco, relegando le pièce dialettali dal gusto locale a pochi temerari e memori di una tradizione che fortunatamente tengono alta la bandiera.
Anche la mimica non è da meno, tanto quanto il ricordo che Goldoni, con il suo teatro faceva ammirazione alla Comedie Francaise dell’epoca, suscitando rispetto ed interesse da parte di tutti. Il teatro italiano è in fin dei conti gioco, cultura, gestualità, comicità, nondimeno legato da un’appartenenza, sociale e linguistica, capace di reinventarsi e di rinnovarsi senza mai dimenticarsi delle radici, folkloristiche e autentiche. La tenacia di Ferruccio Soleri e degli attori principali Giorgio Bongiovanni, Giulia Valenti, Tommaso Minniti, Stefano Onofri, Annamaria Rossao, Sergio Leone, Enrico Bonavera, Stefano Guizzi e Alessandra Gigli, non può che farci orgogliosi di quella cultura che con Goldoni, Strehler e l’Arlecchino, rende attuali oltre due secoli.