A sorpresa la sala Verdi si attrezza per l’Opera. E Il matrimonio segreto di Cimarosa va in scena con la regia di Filippo Crivelli
Le nozze del Mozart italiano non sono di Figaro, ma di Paolino, celebrate in gran segreto nell’antefatto di una delle opere più frizzanti del Settecento.
Da oltre trent’anni mancava a Milano Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, più che ben accolto al Conservatorio, inspiegabilmente per una sola serata, il 17 maggio.
E chi stesse pensando a una proposta in forma di concerto, rimarrà di sasso nel sapere che un vero palco d’opera con tanto di buca per l’orchestra è comparso in sala Verdi, dalla sera alla mattina come i grattacieli che non sappiamo più come contare nella nostra città in esposizione.
E niente meno che la mano del regista Filippo Crivelli ha diretto un sestetto di cantanti di gran livello, allievi al Conservatorio di Cristina Rubin e Adelina Scarabelli.
Giovani, dunque, al loro debutto nell’opera con uno dei più grandi nomi del teatro italiano (obbligatorio vedere su Youtube il suo Matrimonio con le scenografie di Emanuele Luzzati, omaggiate in questo spettacolo da un video che le alternava in dissolvenza sul fondo).
L’esigente intuizione teatrale del regista milanese ha imposto recitativi parlati tra un numero musicale e l’altro. Non per contraffare un singspiel, ma per esaltare la freschezza della drammaturgia di Cimarosa e del librettista Bertati. «Per un’opera come questa serve una recitazione domestica, alla Niccodemi o alla De Filippo, che non c’entra nulla con il carattere eroico del parlato di un Flauto magico» spiega il regista, che già per il Circuito Lirico Lombardo ha diretto un Barbiere di Siviglia in questa stessa chiave anfibia tra opera e prosa.
«Anche se il Matrimonio non ha lo stesso peso e profondità delle opere di Mozart e Da Ponte, è molto più teatrale» continua Crivelli. E più spiritoso aggiungerei, visto come funziona bene anche con un Conte Robinson cinese con indosso una lunga camicia orientale, o con gli accentuati deliri sessuali della zia Fidalma, in competizione con la nipote per lo stesso uomo.
Poche sedie e un tavolo come materie prime permettono di costruire un elegante gioco scenico di commovente ironia. Personaggi che si inseguono tra continui malintesi, battono i piedi per terra per la rabbia o si accasciano sul pavimento all’ennesima delusione amorosa.
Una trama esile da teatro borghese, che però rifulge nel testo di Bertati con una modernità che spiazza, ricchissima di possibilità e soluzioni che Crivelli scandaglia con la sua pregnante levità: uno degli ultimi maestri. Viene da pensare alla distanza incolmabile da Michieletto, che potrà ambientare le sue opere buffe in tutte le palestre e stabilimenti balneari che vuole, ma che nella sua ossessione per la contemporaneità si dimentica della quotidianità drammatica necessaria per una scena d’amore o di gelosia.
Musicalissima la Carolina di Francesca Sorteni, che con i suoi legati morbidi e pieni pare già pronta per qualsiasi palco. Strepitosa teatralità di Hao Tian, ottimo baritono e geniale Conte Robinson in versione mandarina. Graziosissime per recitazione e canto Stefania Palmieri, Elisetta, e Carlotta Vinchi, simpatica zia Fidalma.
Completano il cast il Geronimo di Jaime Pialli e il Paolino di Byeongjun Park. La maggior parte dei cantanti indossa gli splendidi costumi della Finta giardiniera che Crivelli fece alla Piccola Scala nel giugno del ’70: un pizzico di nostalgia sempre obbligatoria per un’opera come questa.
Dirige l’orchestra giovanile del Conservatorio Amedeo Monetti, attento a fini ricerche di colore in molti bellissimi passaggi, ma che mi obbliga a citare un recente articolo di Paolo Isotta sul Corriere della Sera in cui si biasimano i direttori che cantano durante l’opera, perché si distraggono senza accorgersene e rischiano di perdere qualche pezzo per strada.