Ritratti, caricature, macchine, paesaggi, studi di anatomia: lasciano senza fiato i disegni di Leonardo, in una mostra molto osannata e molto criticata
Grande entusiasmo per la mostra su Leonardo a Palazzo Reale di Milano e grandi critiche, un po’ inevitabile conseguenza di aver fatto del suo genio il nume tutelare di Expo, con il fantastico Uomo vitruviano come logo, unità di misura, principio delle vie d’acqua, della Darsena sui navigli e di tutta la gran fanfara intorno al tema della manifestazione Nutrire il pianeta, energia per la vita.
Con tutto questo battage è difficile guardare l’esposizione per quel che è realmente: si arriva così carichi di aspettative e si vuole trovare quello che abbiamo in testa, che ci sembra più significativo.
Il sottotitolo della mostra Il disegno del mondo sottolinea l’identità tra arte e scienza nel pensiero e nella pratica di Leonardo. I curatori, Pietro Marani e Maria Teresa Fiorio, pongono simbolicamente due disegni molto diversi all’inizio e alla fine del percorso.
Il primo è il famoso disegno di paesaggio degli Uffizi del 1473, limpido, luminoso, impostato sulla visione prospettica fiorentina e su una concezione dello spazio misurabile; il secondo, conservato a Windsor, appartiene alla serie dei diluvi, con vortici di vento, polvere, nubifragi che sconvolgono cielo e terra ed è del 1517-18, poco prima della morte.
Ci sono cinquant’anni di mezzo, una vita intera e un percorso che, dall’idea di una natura benigna e dalla possibilità di avere i mezzi per rappresentarla e conoscerla, approda alla drammatica conclusione che l’universo è caos, violenza distruttrice, che tutto travolge, uomo compreso.
La tesi sarebbe avvalorata da una nota di Leonardo nel Codice Arundel:
Siccome ogni regno in sé diviso è disfatto, così
ogni ingegno diviso in diversi studi si confonde
e si indebolisce
( Londra, Britsh Museum , 1505-1510)
Una specie di confessione di essersi spinto troppo oltre nel voler affrontare i più diversi campi del sapere, tanto da sentirsi confuso, di aver perso la retta via dell’unità della conoscenza.
Ipotesi romantica e fascinosa, che ci sarebbe piaciuto vedere avvalorata attraverso il percorso espositivo e che invece resta sottotraccia, confusa nella comprensibile ansia di mettere tutto quel che si poteva recuperare del genio e della sua cerchia.
Quel che salta agli occhi e anche al cuore, nel senso che suscita un’emozione da lasciar senza fiato, è la meraviglia dei suoi disegni. Che siano ritratti, caricature grottesche, studi di anatomia, studi preparatori per monumenti, per edifici, macchine da guerra, paesaggi, perfino argani, sono meravigliosi. Il suo segno, da destra a sinistra – era mancino – è preciso e dinamico, riusciamo a ripercorrere il gesto della mano, la pressione della matita o della penna; il suo famoso chiaro-scuro, i tratti sovrapposti che si inseguono creano quell’atmosfera che immerge le figure nel mondo, che le fa vibrare, qualcosa di incompiuto che rende il loro dinamismo e insieme quello del nostro occhio che le coglie nel loro farsi.
Una sala che vale la visita è quella dedicata ai moti dell’anima, in cui si confrontano capolavori come il Musico dell’Ambrosiana, gli studi per la Madonna del gatto, per la Madonna Litta e per le teste degli Apostoli del Cenacolo, con il ghignante, ineffabile, sfregiato Ritratto d’uomo di Antonello da Messina.
Invece il confronto con allievi ed epigoni è devastante: per lo più solo repliche meccaniche, banali. Si avvalora così il mito del Genio inarrivabile. E, a questo punto, viene un sospiro di sollievo nell’ultima sala, dove troviamo le irridenti versioni della Gioconda di Marchel Duchamp coi baffi, il collage di Enrico Baj con la faccia rugosa, gli occhiali, e ancora la serigrafia cangiante di Andy Warhol.
Foto: in apertura Studio Prospettico per l’adorazione dei Magi (Uffizi)