Gli Halestorm tornano a far “tremare i muri”. Per gli amanti dell’hard rock un cd a dir poco selvaggio
È il lontano 1997 quando Arejay ed Elizabeht (Lzzy) Hale, all’età di soli 10 e 13 anni, cominciano a comporre musica originale. Nel 2009 esce il primo album omonimo della band, Halestorm, seguito a tre anni di distanza dal secondo, The strange case of… (2012); entrambi rivelano immediatamente le doti compositive e strumentali dei due ragazzi, cui nel frattempo si sono aggiunti un bassista e un chitarrista.
Ora, esattamente tre anni più tardi, ecco in uscita il loro terzo album, Into The Wild Life: selvaggio fino al midollo, duro come l’heavy metal e ribelle come il punk.
Il primo dei 15 brani, Scream, apre l’album all’insegna dei grandi concerti open air, con i suoi cori perfetti per essere urlati a squarciagola dalle folle in delirio. Segue l’energica I am the fire: non lasciatevi ingannare dall’intro, che ricorda vagamente la One degli U2, perché passati i primi trenta secondi la melodia si carica di adrenalina fino a sfiorare toni epici.
Se One può essere considerata un inno all’amore (“Love is a temple, love is a higher law…”), in I am the fire il concetto di coppia si sgretola e rimane solo l’individuo, con il cuore cauterizzato dalla delusione e con le proprie fragilità con cui fare i conti. È un inno a se stessi, che incita a rialzarsi e a scoprire che “IO sono il fuoco, sto bruciando più forte, ruggendo come un temporale. Sono IO l’unico che stavo aspettando”.
La stessa tesi è ripresa in Sick individual, in cui la cantante rivendica il proprio diritto a fare «tutto quel ca**o che mi pare», e in Amen, in cui prega ironicamente per l’approvazione del suo stile di vita senza peccato, fatto di amore, droga e piacere (in parole povere, il classico “sex, drugs & rock ‘n’ roll”).
La tensione metal si allenta in Dear daughter, ballata sentimentale che riproduce il discorso di una madre alla figlia; le parole della madre sono confortanti e mirano a rassicurare la ragazza, spaventata dalla durezza del mondo, e a invitarla a essere forte nelle avversità.
Nelle successive tracks il metal riscopre inaspettatamente influenze blues: la voce potente di Lzzy ne risulta valorizzata e si colora di sfumature black.
Dopo la calma momentanea di Reckoning song, la successiva Apocalyptic esplode improvvisa come una granata: i riff di chitarra schizzano alle stelle, ruvidi e graffianti, e cedono solo davanti all’aggressiva sensualità della cantante. “Ti darò un ultima notte […]. Un’ultima volta per farmela rimpiangere. Baby amami e fa che sia apocalittico”.
Tutto l’album è pervaso da un’energia irrequieta, che trova sfogo perfetto nella voce di Lzzy.
Se è vero che la base strumentale è ottima, un plauso speciale va proprio a lei, che per tutti i 15 brani non lesina certamente sulle corde vocali e si dimostra una delle poche cantanti donne in grado di raggiungere livelli eccelsi nella musica metal.
Che altro dire? Non resta che aspettare il prossimo concerto degli Halestorm che, date le premesse, sarà indubbiamente selvaggio.
Foto: Halestorm