Chailly, Puccini e i Beatles

In Interviste, Weekend

Incontriamo Riccardo Chailly: tra storia familiare, passioni musicali senza barriere tra i generi e promesse scaligere. Un’integrale pucciniana, per esempio

Lo abbiamo appena visto in piazza del Duomo a Milano dirigere la “sua” Filarmonica in un concerto assai applaudito con la star del violino David Garrett. Tra destino familiare, vocazione precoce e un’impressionante carriera ai vertici delle più importanti istituzioni musicali, un incontro ravvicinato con Riccardo Chailly, ora alla Scala quale direttore musicale. Con molte idee per allargare e rinnovare il pubblico e una promessa: realizzare a Milano un’integrale pucciniana.

Quali sono state le due prime scintille musicali della  vita: la prima quella che l’ha fatta avvicinare alla musica, e la seconda quella che l’ha decisa a  diventare direttore d’orchestra?
La musica è stata un passaggio naturale, per destino di famiglia, avendo un  papà compositore che scriveva di notte al pianoforte: fin dall’infanzia ricordo il suono dello strumento e anche la voce, quando  invitava cantanti a provare le sue opere liriche. La voce umana tra le pareti domestiche mi dava una vibrazione che mi impressionò non poco. Questo fu l’inizio, poi la folgorazione dal punto di vista del fascino del suono dell’orchestra è stata una volta al Foro Italico di Roma: mio padre mi fece sedere in ultima fila mentre l’Orchestra della Rai provava la Prima Sinfonia di Mahler… io non sapevo cosa fosse ma fui colpito dal colore e dalla ricchezza di quella partitura e dai suoni che un’orchestra sinfonica poteva creare. Da qui l’idea del poter gestire la magia di tali suoni divenne un pensiero e un interesse da perseguire. Avevo dieci anni e il mio destino di direttore d’orchestra cominciò lì…

Il padre musicista ha assecondato questa “missione direttoriale”?
Consigli sì, ma inizialmente non era d’accordo, perché sapeva com’è difficile questa professione…ma io non ho mollato, accendendo un conflitto non da poco! Poi, una volta che la scelta è stata fatta grazie alla mia volontà di non demordere, mio padre mi ha messo alla prova prendendomi come suo allievo di composizione per un triennio: solo che ciascuno dei tre anni lo fece durare un mese! Così mi sono presentato dopo tre mesi al quarto anno al Conservatorio di Milano e sono entrato nella classe di Bettinelli.

Quando arrivò poi la conferma di quella scelta?
Avvenne a Perugia, dove seguivo da uditore il corso di direzione d’orchestra di Piero Guarino, da uditore perché ero troppo giovane. Passò da lì Claudio Scimone con i Solisti Veneti, e Guarino mi segnalò a Scimone, che poi mi fece dirigere un concerto a Padova: avevo tredici anni, poteva essere un peccato di gioventù, invece fu l’inizio, il primo contatto diretto con un’orchestra.

E con l’opera?
Il debutto operistico fu per l’Aslico di Milano, al Teatro Nuovo con il Werther di Massenet.

Penso agli incarichi più recenti: direttore emerito del Concertgebouw di Amsterdam, contemporaneamente direttore musicale del Teatro Comunale di Bologna e dell’Orchestra  Verdi di Milano. E poi anche kapellmeister  della Gewandhausorchester di Lipsia, la compagine sinfonica più antica d’Europa. Quasi un crescendo di maturazione per l’approdo alla Scala?
 Per me avere responsabilità musicale delle istituzioni di quel peso, per la programmazione di una stagione, è stato un percorso importante e anche travagliato, con l’idea quasi ossessiva di guardarsi indietro in quei luoghi carichi di storia. E capisco perciò come il Teatro alla Scala si allinei perfettamente a quelle come istituzione storicamente legata al melodramma.

Da direttore musicale di cotanto teatro e visto la buona sintonia con il sovrintendente Pereira, quali sono i meccanismi da mettere in movimento per un rinnovamento del pubblico inteso  sia come  coinvolgimento di fasce sociali e di età?
Ho pensato prima a nuove proposte, e subito dopo, al modo di porsi: vuol dire aprirsi al pubblico, ad un pubblico nuovo, giovane e che ha bisogno di esplorare il mondo della musica. Tutto ciò preservando la qualità delle scelte fatte, che sia un concerto sinfonico o un’opera lirica. Con la Filarmonica ho intenzione di allargare la presenza internazionale e mediatica. E con l’opera sarà soprattutto mia intenzione nei prossimi cinque anni di offrire un’integrale pucciniana!

Ricordando una  passione anche per “altre” musiche, in particolare per i Beatles: è vero che ha trovato tracce di Yesterday nella Terza Sinfonia di Mahler?
Si, nel movimento lento, all’inizio, dove c’è una melodia in ottava dei violini primi e secondi, sembra proprio che insegua le stesse note che poi MacCartney troverà per Yesterday: mi diverto a raccontarla all’orchestra durante le prove, e mentre loro suonano io canto “All my troubles seems so far away”…uno dei tanti esempi del ruolo importante dei Beatles negli Anni Sessanta. La mia passione per il ritmo della musica pop e del jazz mi ha tolto completamente il senso di barriera tra i generi: mi piace molto l’allargamento dello stile che si sovrappone ad un altro genere, come il jazz. Quello che mi dà molto fastidio è la cattiva musica!

Questa volontà si è manifestata chiamando, per esempio, Stefano Bollani a suonare con un’orchestra sinfonica. E a proposito, mi sovviene che il maestro Chailly aveva promesso di esplorare il mondo musicale di un certo Frank Zappa…
E’ vero, ma il problema è che Zappa è molto difficile: da decifrare, da eseguire, anche da capire. Io sono arrivato a Zappa attraverso Ionisation di Varèse, partitura da lui prediletta e che adoperava come test per selezionare gli amici!

Lei è anche un buon comunicatore delle passioni musicali: cosa si può fare di meglio in ambito mediale, crede ancora nella forza del mezzo televisivo?
Certamente, può essere di grande supporto per far conoscere tutta la musica, purché in modo corretto e con buone scelte, perché il mezzo è importante. Bisogna però trasmettere non solo la propria convinzione: se non fai sentire la fiamma del fuoco che la musica porta nel cuore di un direttore d’orchestra, allora è un’operazione inutile. Dobbiamo esternare questa fiamma con l’aiuto della stessa orchestra, affiancando il pensiero con esempi, come fece Bernstein con le sue straordinarie lezioni televisive!

Foto: courtesy Teatro alla Scala

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