Diretta da Peter Flor, l’orchestra dell’Auditorium ha affrontato la lunga e impegnativa partitura. Ma nei prossimi giorni fino al 13 novembre ancora tanto Mahler da ascoltare. E non solo
Sentendo parlare di “un eccellente direttore che ha la pretesa di comporre”, definizione che circolava comunemente all’epoca, difficilmente verrebbe da pensare che il destinatario di questa critica fosse nientemeno che il signor Gustav Mahler.
Celebrato oggi in tutto il mondo, il grande compositore ebbe in vita un problema non da poco: fu sempre criticato per la sua musica, anche fino a quarant’anni dopo la sua morte. Non era tuttavia privo del sostegno e della stima di altri compositori tra cui l’amico Richard Strauss, di cui Alma Mahler Schindler ricorda un aneddoto avvenuto durante la prima esecuzione della Terza sinfonia del marito: «Dopo il primo tempo scoppiò una manifestazione entusiastica. Richard Strauss si fece avanti sotto il podio e applaudì ostentatamente, tanto che ne suggellò, per così dire, il successo».
È con quel capolavoro che l’Orchestra Sinfonica di Milano si è misurata nel concerto di domenica pomeriggio, all’interno del suo Festival interamente dedicato a Mahler in cui si festeggiano i primi trent’anni di attività dell’Orchestra Sinfonica e i primi venticinque anni del Coro Sinfonico di Milano. L’iniziativa (che ha coinvolto quasi tutte le orchestre italiane) andrà avanti fino al 13 novembre con l’esecuzione dell’integrale delle Sinfonie e dei Lieder per orchestra del compositore boemo, la cui Seconda Sinfonia Resurrezione fu protagonista proprio del concerto inaugurale dell’Auditorium nel 1999 e pertanto è stata riproposta in apertura del Festival il 25 ottobre da parte dei “padroni di casa”.
La Terza Sinfonia ha delle analogie con la Seconda, non solo per i riferimenti alla raccolta Des Knaben Wunderhorn (antologia dalla quale Mahler attinse più volte), ma soprattutto per le dimensioni e i significati extramusicali. Essa si presenta come un grande “poema musicale” che procede in ascesi: dalla natura inanimata si passa alla vita vegetale, poi a quella degli animali, all’uomo, su fino agli angeli e in ultimo si arriva all’amore assoluto di Dio, come il compositore scrisse nel programma che accompagnò la prima esecuzione nel 1902.
Si tratta dunque di una monumentale opera sinfonica (circa un’ora e quarantacinque di musica, in cui il solo primo movimento dura oltre trenta minuti) che Claus Peter Flor ha diretto con energia e dinamismo, anche se spesso un po’ troppo concitato. L’orchestra tuttavia ha risposto bene ai repentini cambi di tempo e ha mantenuto alto il livello di interpretazione donando al pubblico un emozionante e potente primo movimento, ricco di tutti quei rimandi musicali che Mahler assimilò soprattutto negli anni della giovinezza in cui visse con il padre taverniere: la musica di caserma, di osteria, la variopinta parata, il carillon e la banda.
Qualche sbavatura è comparsa nel quarto movimento, delicato e in pianissimo, che tuttavia è di ben nota difficoltà soprattutto per i corni. Impeccabile invece il mezzosoprano Anke Vondung, interprete intensa della figura di “Uomo penitente” attraverso le parole di Nietzsche tratte da Also sprach Zarathustra (più precisamente dal cosiddetto Mitternacht-Lied ovvero “canto di mezzanotte”). Nel quinto movimento appare in dialogo con le creature angeliche rappresentate dal doppio Coro di fanciulli e di voci femminili.
Ma il momento più toccante della serata, salutato poi dagli applausi del teatro al completo, si è svolto nell’Adagio finale, una conclusione spettacolare scandita dai due timpanisti perfettamente in sincrono a quattro mani su ciascuna nota. Questo movimento, che unisce la morte e la vita in un’atmosfera profondamente mistica, è forse il più rappresentativo del pensiero musicale di Mahler, nelle cui sue sinfonie si percepisce sempre una forza straordinaria, una lotta continua fra elementi terrestri e astrali. In ognuna di esse è narrato un percorso sempre diverso volto alla luminosità e alla libertà che si risolve spesso con un ultimo movimento in cui giungono grandiose esplosioni di gioia ed estasi, mirabilmente scritte in musica da quello che oggi definiremmo “un eccellente compositore che era anche un eccellente direttore”.
Ha collaborato Filippo Lepre
Foto di Angelica Concari