Phoenix giustiziere eccellente, un buono che più cattivo di così….

In Cinema

Joaquin premiato come miglior attore e il film come miglior sceneggiatura: è stato questo il verdetto, assai favorevole, di Cannes 2017 per “A Beautiful Day” di Lynne Ramsey, storia di Joe, ex marine ed ex agente dell’Fbi diventato poi nemico numero uno dei predatori sessuali. Un film di gesti e pulsioni molto violenti, nella sostanza, ma in cui la cinepresa evita ogni compiacimento nel descriverli. Certo però che questo emulo di De Niro di “Taxi Driver”, ennesima vittima della famiglia (padre assai malvagio), sta con le vittime contro i bruti, ma lo fa con forza ed energia spesso spietate

Joe tante ne ha viste e tante ne ha fatte. Ex marine, ex agente Fbi, è ossessionato dalle brutture del mondo e dal suo personale violento contributo, che riappare in veloci flashback. Fa parte della sua natura, babbo era di quelli davvero “cattivi” e la natura non può essere cambiata, come racconta la storiella della rana e dello scorpione. Vero, però puoi cambiare obiettivo. Ecco allora che Joe continua a guadagnarsi da vivere come sicario, ma ora i suoi nemici sono i predatori sessuali. Lui entra in azione, la sua arma preferita è un martello con la punta tonda rinforzata, fa quel che deve, poi torna a casa ad accudire mamma, ormai anziana e smarrita. Poi arriva l’incarico di recuperare la figlia di un politico famoso. Giovanissima, orfana di madre, Nina non è nuova a fughe da casa, ma questa volta pare proprio sia stata rapita e portata in un bordello per perversi ricchi e prepotenti. E Joe parte. Il lavoro è duro, ma qualcuno deve pur farlo.

Presentato lo scorso anno a Cannes (premio per la miglior sceneggiatura e al miglior interprete, Joaquin Phoenix) e al Noir in festival (menzione speciale), tratto dal romanzo di Jonathan Ames, diretto da Lynne Ramsey (E ora parliamo di Kevin) il film ha cambiato titolo arrivando sui nostri schermi. L’originale You Were Never Really Here è stato retrocesso a sottotitolo, lasciando posto a A Beautiful Day.

Ma quello che più conta è il tentativo di spostare i confini del thriller e dell’action movie. Chiariamo subito: questo è un film violentissimo. Però, quasi sempre, la violenza non è accarezzata dalla macchina da presa compiacente. Si viaggia, spesso, per ellissi. Per esempio: Joe entra in un posto, presidiato da tostissimi energumeni malavitosi, lui impugna il suo martello e subito lo ritroviamo oltre, con il bastardo sanguinante e rantolante steso a terra mentre Joe procede per completare il suo compito. Da questo punto di vista il racconto è davvero sviluppato con originalità. Così come la figura dell’eroe. Un farabutto che ora agisce a fin di bene, ma usa pur sempre metodi criminali, poi però è malmesso, deve sempre accudirsi, impasticcarsi, curarsi, la sua schiena è segnata dalle cicatrici.

Ma l’animo, in fondo, molto in fondo, è buono, basta vederlo all’opera con mamma e con le vittime di un mondo odioso. In una sequenza emblematica l’addetto alla reception di un alberghetto continua imperterrito a guardare la tv e a mangiare quel che capita, neppure si rende conto di quel che passa proprio lì, davanti ai suoi occhi. Un po’ come succede a tutti noi: intorno succedono cose mostruose, ma noi, anche inconsciamente, vorremmo rimanessero estranee al nostro orizzonte, per continuare le nostre piccole vite. Mica siamo noi i colpevoli. Ormai abbiamo perso il senso della realtà e delle proporzioni: un attentato con decine di morti in Iraq, o in Afghanistan, o qualsiasi posto lontano, ci colpisce e ci viene raccontato con molta meno importanza di un banale, seppur triste, fatto di cronaca nera nostrana.

Qui siamo nel nostro territorio, per estensione (New York) e allora possiamo identificarci con questo singolare giustiziere che combatte contro i poteri forti, lasciando affiorare i ricordi cinematografici di Travis Bickle (Taxi Driver) e di Leon. Dando merito a Joaquin Phoenix per essere diventato ancora una volta un magnifico interprete, anche se il suo personaggio un difetto ce l’ha, ma è di sceneggiatura, non suo. Perché tutti coloro che al cinema hanno comportamenti violenti devono averli mutuati dall’infanzia con babbo alcolizzato che mena, piuttosto che abusa, piuttosto che una famiglia adottiva che abbia instillato germi perversi etc. etc.?

Da tempo al cinema non ci sono più i bastardi che si sono fatti da sé, sono così perché altri sono stati cattivi con loro. Fanfaronate, perché se è vero che certi comportamenti possono spingere all’emulazione, ci sono anche i cattivi semplicemente cattivi.

A Beautiful Day, di Lynne Ramsay, con Joaquin Phoenix, Ekaterina Samsonov, John Doman, Alessandro Nivola, Alex Manette, Judith Roberts, Larry Canady, Vinicius Damasceno, Neo Randall, Frank Pando, Edward Latham, Scott Prince

(Visited 1 times, 1 visits today)