Basi posthouse e testi pieni di disagio con effetti potenziati dall’auto-tune. Mentre i meno giovani rifanno se stessi all’infinito. Diciamolo, su trenta brani sembrano pochini quelli che meritano di essere tramandati ai posteri. A festival concluso, un esame artista per artista
Questo è un esperimento. Niente di scientifico, sia chiaro. Il vostro cronista dopo anni di articoli di presentazione del solito, malefico festival di Sanremo ha deciso di fare un pezzo di commento concentrandosi sulla musica, saltando così a piè pari il carrozzone, comprese le scarpe di John Travolta e altre gag a dir poco terribili.
Regole di ingaggio: ho visto solo la sera del venerdì, quella dei duetti e delle cover e ho ascoltato le canzoni solo nella versione discografica. Quindi come le hanno ascoltate (e poi scelte) Amadeus e soci e come poi tutti noi le ascolteremo via radio o streaming. Niente esibizioni live sul palco dell’Ariston, anche perché l’audio Rai è pessimo e gli arrangiamenti con l’orchestra spesso sono come il latte condensato. Troppo dolci e stucchevoli.
Diciamocela tutta, su trenta canzoni non c’è molto da salvare. Il mercato discografico si è pesantemente spostato sullo streaming, e come è facilmente intuibile il pubblico più presente su Spotify e affini è quello giovane. E quindi ci sono un sacco di brani fatti per giovani da ragazzi volenterosi, ma tutti incredibilmente uguali. Base posthouse e testi pieni di disagio con effetti dati dall’auto-tune. Poi ci sono quelli di mezz’età che rifanno loro stessi all’infinito e i vecchi che son così felici di essere ancora vivi e su un palco che ci mettono più energia di tutti.
Buttiamoci nella mischia sgranellando artista per artista: tranne che per la vincitrice l’ordine è casuale.
ANGELINA MANGO. Ha vinto la sua storia di figlia d’arte, ma la ragazza ha dei numeri. Onestamente non mi fa impazzire La cumbia della noia e i ritmi incrociati del pezzo con cui ha vinto. Ma la sua interpretazione de La rondine del suo papà (impossibile dimenticare che la mamma è Laura Valente, seconda bravissima cantante dei Matia Bazar) e la sua energia di giovane tamarra consapevole hanno fatto la differenza. Cresci bene che ripasso
EMMA. La voce c’è, ha pure smesso di urlare. Avrebbe anche presenza scenica adeguata, ma le manca sempre qualcosa. Uno dice, le canzoni. Effettivamente questa Apnea è irritante quando partono le tastierine sceme nella melodia, ma anche quando ha fatto il medley con i pezzi di Tiziano Ferro non mi ha convinto. Ma un bel pezzo blues tutto fragole e sangue non sarebbe meglio? Restiamo in attesa
ALFA. L’esibizione nei duetti con Vecchioni gli ha fatto guadagnare milioni di punti, ma è perché siamo gente dal cuore di burro e vedere un ragazzo che prende il testimone dal vecchio professore ci commuove. Ma ci vorrà ben di più del pezzo (Vai!) di Sanremo, ritmo cowboy col fischietto che non lascia traccia. Studia ragazzo studia
MR RAIN. Ecco uno che sopporto poco. Fa il Jovanotti stonato (che non è esattamente un buon punto di partenza) e in più è lagnoso e depresso, fossi la sua fidanzata aumenterei le dosi di affettività a titolo terapeutico. E nei duetti ha fatto da corista ai Gemelli diversi. Tutto da rifare
IL TRE. Sembra il compagno di classe che ti fa sentire una demo e tu non hai il coraggio di dirgli che la canzone (Fragili) è brutta e banale… Difficile essere sinceri a volte. Nei duetti ha rifatto tre canzoni di Fabrizio Moro con lo stesso Moro, che ovviamente si è preso tutto lo spazio. Un nome un voto
ALESSANDRA AMOROSO. Non ho capito ancora chi è, se una delle tante girls uscite dai talent che galleggiano grazie alle nonne e alle zie a cui piacciono tanto o una cantante che poteva dare di più, ma il successo gli è franato addosso e non riesce ad uscire dalla sua gabbia. Boh, sta di fatto che continua a non piacermi, anche quando balla da salentina o canta Fino a qui. Esci dal tunnel
FIORELLA MANNOIA. Resta una grande interprete, ma più passano gli anni e più mi sembra che viva di rendita. Sono anni che non fa un disco all’altezza della sua storia. Colpa degli autori? Questa Mariposa ha un valore civile per l’universo femminile, ma alla Mannoia gli si vuole bene per quello che ha fatto, non per quello che fa oggi. Brava ma ferma
RICCHI E POVERI. Cosa bisogna dire? Sono come il vino sfuso in osteria, piace a tutti anche se si sa che la qualità non è sempre il massimo e il mattino dopo hai il mal di testa. Sono il pop italiano che più semplice e canterino non si può. E anche se Ma non tutta la vita è tremenda, chhissenefrega. Vecchia, eterna leggerezza
IL VOLO. Costretti dal marketing e dagli ingaggi internazionali a fare in eterno i tre tenorini, provano ad ammodernarsi con Capolavoro, un pezzullo pop senza carattere. Nella serata duetti rifanno i Queen con l’ottimo Steve Burns alla chitarra, dimostrando che in tre non riescono a farne uno, di Freddy Mercury. Meglio l’oblio
MANINNI. Mi sembra uno che merita una prova d’appello, perché nonostante a Sanremo abbia cantato una canzone banale e lineare, di quelle che si scordano subito, mi sembra che abbia qualche talento nello scrivere. Poi magari le radio lo suonano a nastro e Spettacolare diventa un inno da matrimonio… triste. Nel duetto poi rifà con Ermal Meta Non mi avete fatto niente, facendo rimpiangere Fabrizio Moro. Cambia strada che ce la fai
LOREDANA BERTÈ. La truncia è quella dei tempi migliori, e Pazza (che ha vinto il premio della critica) regge soprattutto grazie alla sua interpretazione. E poi una donna con la sua storia che a 72 anni va ancora a Sanremo in minigonna merita tutto il rispetto del mondo. Pettirosso da combattimento
NEGRAMARO. Si sono persi, lo sapevamo. Ricominciamo tutto è… tutto per l’ego di Giuliano, che esagera in ogni singola parola con un enfasi troppe volte fuori luogo. Nella cover di Lucio Battisti La canzone del sole poi nei fatti cancella la povera Malika Ayane, che cerca di infilarsi senza successo fra un gorgheggio e l’altro. Peccato…
DIODATO. È tra quelli che meritano di essere ascoltati: bravo, intelligente, sensibile. Ma non sempre le canzoni funzionano, e per questo giro Ti muovi non era quello giusto. Meglio la cover di De Andrè Amore che vieni amore che vai con Jack Savoretti e Filippo Timi. Bravo, intelligente… discontinuo
MAHMOOD. Alla terza volta, non ha stupito come nelle due partecipazioni vittoriose. Il gioco di Tuta Gold è un po’ ripetitivo, e in più anche lui si è messo a cantare di periferie, tradimenti, amici in prigione etc etc. Bella invece la cover di Come è profondo il mare con i mitici Tenores di Bitti. Pochi Brividi.
IRAMA. Nella ricerca delle formule per fare successo si assiste a curiosi tentativi, come questo di Irama che con Tu no prova a fare Ultimo, che quest’anno non si è presentato al Festival. Il risultato è poco convincente. Almeno Ultimo si incazza veramente. Nelle cover poi fa coppia con Cocciante, che ovviamente se lo mangia. Ritenta: gli ultimi saranno i primi
GHALI. Carattere e personalità, con una buona consapevolezza. Non è venuto per vincere o fare il fenomeno, ma per raccontare le sue storie, e ci è riuscito molto bene, anche grazie ad un pezzo elettronico, Casa Mia, che gira bene. La citazione di Cutugno è funzionale al suo racconto, e quindi è perdonata. Lucido e internazionale
GAZZELLE. A me ricorda Topo Gigio nella voce, e quindi c’è immediatamente l’effetto simpatia. Poi senti Tutto qui e pensi agli Alunni del Sole e zone limitrofe… pop leggero tinto di indie di maniera. Cover romanista di Notte prima degli esami con Fulminacci, ma quest’anno era di moda più il sud. Aridatece Topo Gigio
THE KOLORS. Almeno c’è un po’ di ritmo e meno menate disagiate della media. Ma Un ragazzo, una ragazza ha la consistenza del semolino in ospedale, e il bello è che il testo dice che serve un idea. Qui servirebbe evitare di voler fare successo a tutti i costi. Poi duettano con Umberto Tozzi e capisci tutto. Meglio perdere per trovarsi
DARGEN D’AMICO. Secondo me è sopravvalutato. Con Onda Alta ha provato a mettere insieme cori russi, sinfonia, rap, cassa in quattro e testi impegnati. Troppa roba, come qualcuno che per fare una pizza buona ci butta dentro venti ingredienti diversi. E l’omaggio a Morricone è stato pressoché incomprensibile. Confuso e infelice
ANNALISA. Ci ha messo anni per uscire dal gruppo degli anonimi, ma evidentemente era giusto così, perché oggi finalmente la sua canzonetta, Sinceramente, è efficace nel suo essere sanremese ed estiva al tempo stesso. E la sua cover di Sweet dreams degli Eurythhmics fatta con La rappresentante di lista è stata fra le cose migliori. Non solo bella
ROSE VILLAIN. La voce c’è ma il suo brano, Click Boom!, è a dir poco confuso. Inizia come un ballatone menoso, poi diventa un esercizio onomatopeico su base dance, poi torna ballatone… boh, forse è un pezzo sulla bipolarità estrema. In ogni caso niente di indimenticabile, così come la performance nei duetti con la Nannini. La Gianna sale su un palco e spacca, lei si perde. Ma scegliere partner meno impegnativi no? Bipolare senza guida
LA SAD. Volevamo essere i Green Day, ma siamo arrivati trenta anni dopo e siamo pure nati in Italia e ci tocca pure fare Sanremo. Di fronte a queste premesse, anche il sottoscritto ha un moto di pietà per questi ragazzi che che con il brano Autodistruttivo almeno provano a fare casino in questo circo barnum di lustrini e pailettes. Però per favore adesso andate in giro a suonare e rimettete a nanna la Rettore. Fuori contesto e non solo
CLARA. Canta un pezzo che sembra di Mahmood, ma non lo è. Con Diamanti Grezzi cerca uno stile che musicalmente non trova, eppure la voce ci sarebbe. E poi fa il duetto con Spagna (che sembra il suo ectoplasma biondo) su il Re Leone. Diciamo che non mi sembra un progetto molto a fuoco, ad essere gentili. A caccia di stile
BIG MAMA. Ennesima base dance con testo pieno di buone intenzioni, ma che si perde in ritmi inadeguati. Forse è una questione generazionale, ma così non resta nulla, almeno per me. Lei canta bene, e istintivamente si sta dalla sua parte, ma La rabbia non ti basta è acqua fresca, scorre e si perde. Cover con Lady Marmalade in dialetto in salsa musical tamarro chic. Si può dare (dire) di più
GEOLIER. Poco da dire, è un altro mondo per chi ha più di 30 anni. In I’p me, tu p’ te c’è dentro il melodramma, i neomelodici, il rap, Mare Fuori, le tastiere da matrimonio, l’incazzatura da periferia urbana, la fascinazione da Gomorra, la voglia di riscatto… Tutto giusto, tutto prevedibile, ma lontano dai miei gusti. Mi arrendo perché non è il mio mondo, ed è meglio stare tre passi indietro quando non si capisce. Però dai, ascoltalo un po’ Pino Daniele. Mondi lontanissimi
SANTI FRANCESI. Pop arrangiato anni ottanta con voglia di essere intensi, senza riuscirci. Se fai un testo che, come L’amore in bocca, vuole raccontare l’amore e il dolore e il desiderio, non puoi cantarlo come se fosse una pubblicità. Ma loro possono fare molto di più, come hanno dimostrato cantando molto bene Halleluja con Skin. Vi aspettiamo al varco, ma sbrigatevi
BNKR44. Governo punk sembra una canzone scritta con la tv accesa e con il telecomando nelle mani di un bambino isterico. Cambia mood ogni 20 secondi mentre si perde in un giro di tastiere elettroniche degne dei migliori Bontempi d’epoca. Resta difficile capire perché roba così partecipi al Festival, ma certi misteri sono meglio conservati di quello delle piramidi di Giza. Ah, nelle cover hanno svegliato dal letargo Pino D’angiò, Bravi, ma forse era meglio lasciarlo in pace. Irricevibili
FRED DE PALMA. Se uno cresce avendo come mito gli Eiffel 65, poi va a finire che fa Sanremo con un pezzo inutile come Il cielo non ci vuole. E magari senza l’istinto da hit tamarra che avevano gli Eiffel. Per una volta arrivare ultimo al festival non è un disonore ma una lezione. Meglio lasciar perdere
SANGIOVANNI. La canzone si intitola Finiscimi, e a volte la consapevolezza involontaria suggerisce la verità. Canta male, scrive cose banali e stavolta non strappa nemmeno un sorriso. Forse è già travolto dalla pressione per aver scritto un successo, che peraltro ha ricantato nelle serata delle cover autocitandosi. Vabbè. Auguri per il futuro
RENGA E NEK. Due vecchi pirati dell’Ariston, uniti nel tentativo paraculo di tornare a spaccare cuori con sguardi e sorrisi assassini. Non è andata benissimo, Pazzo di te è troppo retorico e pieno di paroloni inutili per descrivere l’amore. Ma tanto loro sono già in tour a sbigliettare, Sanremo era solo una passerella. Sorrisi e marpioni
E per finire…
AMADEUS e FIORELLO. Arrivano come sempre stremati all’arrivo, che sembrerebbe quello definitivo. Cinque anni di lavoro ben riuscito dal punto di vista della Rai (audience, rilancio marchio, pubblicità), meno sul lato artistico. Ma Sanremo è Sanremo, non si può farlo bello. Santi subito