A ottanta anni di distanza un allestimento-evento della compagnia Luna nel letto al Teatro Sala Fontana ripropone L’abito nuovo, scritto nel 1935 da Pirandello ed Eduardo. E ci sono molte buone ragioni per andarlo a vedere
Capita spesso, quando si considera la programmazione di un teatro, di leggere i nomi di alcuni drammaturghi e ascriverli a determinate categorie: contemporanei, classici, sperimentali, e via di seguito approfondendo le specificità di tali etichette.
Va da sé che l’accettazione della label è di per sé fugace: aiuta sicuramente nell’indicizzazione e nella semplificazione, meno nella focalizzazione sui contenuti. Per dire: chi pensa di uscirsene dicendo che Pirandello è un autore contemporaneo? O che, ormai, è talmente sugli allori da potersi definire “classico”?
Questo – poco stimolante – giochino rivela la sua inconsistenza nei momenti più opportuni, ovvero quelli in cui questi autori tornano a incontrare la ricezione di un pubblico culturalmente in subbuglio.
Di recente, al Teatro Franco Parenti, è passato praticamente inosservato uno dei migliori Pirandello che si siano visti negli ultimi anni: il Berretto a Sonagli riletto da Valter Malosti, che si è mantenuto fedele al testo originario proiettandolo sotto un’aura di sottile erotismo, vagamente audace. Sala piena e applausi scroscianti, ma è rimasto su davvero troppo poco. Un vero peccato, considerato che in tempi di Women’s March non fa mai troppo male capire come certi geni maschi raccontino, in maniera unica come nel caso di Pirandello, la gabbia che costringe tante, troppe femmine ad assecondare il conformismo emanato del sesso forte.
Al di là – ma non troppo – di tutto questo, a Milano si è di recente tornato a parlare di Pirandello in occasione della riproposizione di una delle parentesi meno note della sua produzione: il tandem con un altro lume del teatro italiano, Eduardo de Filippo. Sempre per la famosa ricezione culturale: spendiamo tante parole sul teatro di Pirandello, sulle commedie di Eduardo, ma quasi nessuno ricorda mai quella che hanno scritto insieme, L’abito nuovo, nel 1935.
Certo, i motivi non sono soltanto da ascrivere alla riottosità del pubblico: Pirandello muore nel 1936, l’opera va in scena nel 1937, al Manzoni di Milano. La critica è sospettosa, Eduardo preferisce tornare alle sue amarezze che odorano di ragù e scene madri: il dramma somatico, la riflessione cervellotica su realtà e finzione, non sono elementi che in quel momento gli stanno troppo genio.
Ed è ancora Milano (precisamente, il Teatro Sala Fontana) che, oggi, riaccoglie quel testo un po’ obliato a distanza di ottant’anni: la compagnia di Ruvo di Puglia La luna nel letto è la prima a cimentarsi con L’abito nuovo… dai tempi dello stesso Eduardo. Che, come sopra, non l’amava particolarmente. O meglio: adorava soprattutto l’idea di lavorare a quattro mani con Luigi Pirandello, che incontra per la prima volta al teatro Sannazaro di Napoli, nel 1932.
«Questa commedia mi riporta ai vecchi tempi del 1932. In un palco di prima fila c’era Luigi Pirandello. Vennero di corsa, in camerino, a dirmi “Sai, c’è il Maestro in teatro!», ricorda De Filippo in un video che fa da prologo all’edizione RAI della commedia, annus 1964, l’unica altra riedizione oltre a quella originale del ’37.
I due si siedono al tavolino e cominciano a scrivere, per quindici lunghi giorni. Uno scontro di cervelli che però, in quel momento, pensano ad altro. Ognuno “ha le sue”, per così dire. Pirandello è anziano, un po’ stanco, invischiato nelle sue tante questioni psico-sentimentali (vedi alla voce: Marta Abba), Eduardo vuole allargare le maglie del suo teatro a temi e questioni che non abbiano la targa “Napoli” a ogni costo. Si ispirano a una novella, L’abito nuovo, che Pirandello aveva scritto nel 1913; e la commedia che ne viene fuori è una dolorosa riflessione sulla tragedia di un uomo ridicolo, Michele Crispucci, abbandonato da una moglie che prima diventa una malafemmina al soldo di circhi e uomini illustri, e poi muore “costringendo” lui e la figlia ad accettare un’eredità che è più pesante di un macigno.
Nella versione-evento di La luna nel letto, diretta con inebrianti aperture oniriche da Michelangelo Campanale, il personaggio di Michele Crispucci (interpretato da Marco Manchisi, bravissimo) si muove in linea con la propria, fragilissima integrità morale. Attorno a lui si dispiega un universo fumoso e felliniano, un circo di personaggi volutamente senza dimensione: un’atmosfera onirica e allo stesso tempo amara e pungente, in grado di intersecare le sezioni auree dei due autori.
La valenza di uomo onesto del protagonista si contrappone a un tempo che puzza di danaro e che non ha spazio per i principi. Per quali principi, però? Qui sta il “nocciolo” della questione. La moralità di un uomo abbandonato dalla moglie? La donna, che si è trasformata da apprendista sposina a celebrata artista circense, ha sudato tutti i quattrini che adesso il “cornuto” non vuole accettare né per sé né per la figlia. Sull’ombra di tutto, l’orgoglio. L’onore. Quei temi che, con grandiosa modernità, Pirandello ha sbeffeggiato con estremo vigore: puttane, avvocati, sarte, usurai, maschi, femmine. Siamo gente in progresso, gente che lavora e accetta compromessi pur di provare a restare in equilibrio: qual è lo spazio che questa onorabilità vuole ritagliarsi?
Non deve esistere più.
Errata corrige: non è che De Filippo non ami l’opera, anzi. Eduardo ha enorme stima di Pirandello, ma pure di sé. E si rende conto, influenzato dal fratello Peppino, che l’Abito nuovo non è teatro suo. Ok, c’è Napoli. Ok, c’è l’amarezza. Ma i temi sono troppo “alti”, troppo “astratti”. Troppo “pirandelliani”. Ed Eduardo, che è uno che sulla sua identità ci ha costruito una letteratura, decide di archiviare un’opera così complessa, almeno a una prima occhiata. Un vero peccato: i temi, quelli veri, non possono spaventare.
Chi lo sa se L’abito nuovo sia classico. O contemporaneo. Per i più scettici, probabilmente, modernariato. Forse, però, è arrivato il tempo di smetterla con le riflessioni, o con le domande continue: un’opera così, in cui dubbi, paranoie e assurdi, letali sessismi non sono più vessilli estetici ma doloranti retaggi intrisi nei sentimenti dei personaggi, può solo fare bene. E fa capire quanto Pirandello ed Eduardo, prima ancora che Maestri, siano stati umani. Luna nel letto, in questo senso, coglie benissimo questa dimensione: e l’evento, nonostante diversi passaggi nei teatri prima dell’arrivo milanese, è di quelli che meriterebbero sicuramente maggior richiamo. Proprio per il famoso discorso di ricezione: se non si va, purtroppo, è come se certe cose non esistessero. E se è doloroso di per sé quando si tratta di artisti emergenti e di lavori sperimentali, lo è ancor di più quando la posta in gioco è quella garantita da un premio Nobel e dall’autore di Natale in casa Cupiello. Chissà se siamo ancora in tempo a salvarci…
Immagine di copertina © Patrizia Ricco