Un’opera che parla di morte e di diritti, uno spettacolo vivido e fluido, reale e cosciente
Nel 2007 a Torino, l’acciaio si è preso la vita di sette operai. Acciaio Liquido rievoca il dramma delle “morti bianche”, prendendo in analisi il caso di una fra le tante fabbriche italiane che ha ritenuto superfluo avere dei sistemi di sicurezza a norma. E a rimetterci la pelle sono stati gli anelli più deboli dell’instabile catena.
L’acciaio è una lega durevole, solida. Talvolta i suoi riflessi argentei consentono di scorgere in quel materiale così freddo e lucido l’immagine riflessa di te stesso. Come se quel miscuglio di ferro e carbonio potesse racchiudere tutto ciò che sei. Quasi racchiudesse il tuo mondo.
In fabbrica il tempo pare cristallizzarsi, e proprio in questo luogo le ambizioni e sogni di ciascuno vengono al contempo alimentati e distrutti. Un ciclo infinito di produzione e annullamento. Il culmine viene raggiunto nell’istante in cui, forse a causa di un guasto, credi di rimanere chiuso là dentro per sempre.
Gli otto attori in scena diventano alternativamente vittime e carnefici: vestendo i panni degli operai, dei parenti e dei manager responsabili dell’accaduto. Per quest’ultimi tutto sembra andare bene, fino a quando sotto il completo gessato non spunta la tuta da lavoro. La pressione è troppa e le conseguenze dei rischi presi iniziano a pesare su quel briciolo di coscienza che resta in ognuno dei dirigenti.
L’equilibrio tra i diversi quadri affrescati da Lara Fraceschetti, ideatrice e regista di Acciaio Liquido, rende lo spettacolo vivido e fluido, reale e cosciente, senza mai calcare la mano su un tema tanto delicato.
Soluzioni scenografiche di grande semplicità vengono utilizzate con intelligenza e mosse dal movimento dei corpi di attori scattanti e preparati, illuminati da un’abile e metaforico gioco tra luci e ombre. A dire il vero, l’unico momento in cui il ritmo dello spettacolo è costretto a superare un lieve dosso è quello in cui i parenti delle vittime affrontano il pubblico attraverso tre esternazioni del proprio vissuto.
Chiaramente emerge la critica al tema della giustizia italiana. Ma non è tutto. Viene soprattutto messa in luce la mancanza di coraggio nell’assumersi le proprie responsabilità da parte del singolo. L’individuo si sente forte solo quando è in gruppo. Ma se il gruppo cominciasse pian piano a disgregarsi? A lasciarti solo, in mutande, in preda a tuoi sensi di colpa?
Ottenere uno sconto sulla pena non basterà mai a lavare via le macchie della coscienza. Se si ha la fortuna di averne una.
(video di proprietà del canale Teatro Out Off, foto in evidenza «Il coccio», design di Giulio Iacchetti)