Tre incontri con “La musica dissidente” (il primo è stato l’1, i prossimi il 9 e il 16 luglio alla Fondazione Feltrinelli). Il titolo rimanda a ciò che contrasta la regola ma allude anche alle inquietudini politiche e culturali che attraversano questa fase storica e che riguardano la guerra, i totalitarismi, il razzismo. Carlo Boccadoro, compositore, direttore, musicologo, conferenziere brillante accosta musiche e letture senza confini per raccontare ansie e contraddizioni del nostro tempo. Ma anche per invitare tutti noi a non dimenticare
La musica non ha mai cambiato il mondo. Forse. Ma la vita scrive la musica che facciamo e ascoltiamo. Ed è sempre utile, se non necessario, farla affiorare – la vita – per capire meglio un linguaggio che mantiene il segreto sulle sue arti di conquista, insondabili e per questo irresistibili. Non fraintendiamo: non ci sono sempre rose e fiori dietro la musica. Il dolore, la nostalgia e il rimpianto sono i più oliati meccanismi del suo funzionamento. Ma c’è anche altro: la morte, la violenza, la costrizione.
Per il terzo anno alla Fondazione Feltrinelli di Viale Pasubio – edificio di alta architettura per davvero – Carlo Boccadoro celebra un piccolo rito laico, non profano, intitolato Musica Dissidente: concerti con letture, evocazioni, provocazioni, riflessioni sulle tragedie che in qualunque luogo e qualunque tempo sono state il motivo per fare musica. In questo 2024 tre sono i dialoghi (strani) fra letteratura, poesia e musica, nei quali entra anche la Scala per via di incroci fra esecutori: lunedì 1 luglio, appena goduto, martedì 9 e 16 luglio, sempre a ingresso gratuito.
Ogni incontro è fatto di variazioni libere su temi concreti, storicamente centrati. Il primo trattava Note di denuncia e di speranza, sottotitolo con triplo hashtag: #antifascismo #opposizione #denuncia. Non si può essere meno attuali.
Compositore, direttore, musicologo, conferenziere di grazia e di pensiero, Carlo Boccadoro combina infinite musiche a letture altrettanto senza confini per raccontare le inquietudini del nostro tempo. In Terra e cenere di Mauro Montalbetti per violoncello solo, vibra lo stupore di una morte senza senso: quella di una donna che nell’Afganistan invaso (da chi, poco importa), corpo nudo, vestito di polvere, viene sottratta dalla crudele misericordia di un camion alle violenze subite e ancora da subire.
Lamberto Curtoni
Judith Weir, signora compositrice suddita di Sua Maestà Carlo III, che da mamma Elisabetta ha ricevuto l’alto riconoscimento britannico prima assegnato a Peter Maxwell-Davies, in Unlocked fa risuonare canzoni scritte da carcerati: uniche forme di vita a non poter essere messe sotto chiave. Lamberto Curtoni, solista eccellente della prima serata, ma anche compositore di sensibilità e di concetto, fa balenare sul violoncello la Luce che, dopo la Denuncia, viene dalla Speranza.
Nella rosa dei cinque autori non poteva mancare Benjamin Britten, che in vita abitò una sobria dimora del Suffolk chiamata Red House, casa rossa, non a caso, e che insieme al compagno, il tenore Peter Pears, rispose con un’obiezione di coscienza alla chiamata alle armi della seconda guerra mondiale, però consegnandosi alla commissione militare, che non poté fare a meno di riconoscerne l’onestà, destinandolo alla creazione di eventi, trasmissioni radio e concerti per le truppe e la popolazione civile. Nella sua terza Suite per violoncello, Britten fece confluire e metabolizzò canti russi come omaggio al primo interprete del suo pezzo, Mstislav Rostropovic, esule Urss, insieme a Svjatoslav Richter e Dietrich Fischer-Dieskau animatore del Festival creato dall’amico ad Aldeburgh, rassegna “di campagna” diventata un modello del far musica fuori schema. Ed era giusto il Canto (Chant) di un altro inglese lontano dai canoni dell’avanguardia, John Tavener, mistico come Arvo Pärt per concludere nel segno della Speranza.
Tra ogni brano, Boccadoro evoca una Parola che coltiva la mente, salva il cuore e motiva tutto. Nelle riflessioni di Hans Magnus Enzensberger sui meccanismi non troppo misteriosi che ci spingono a rifiutare le notizie delle guerre che invadono la nostra vita e turbano le nostre comodità. Nei moniti di Heinrich Böll e di Ennio Flaiano sul dovere di riconoscere l’arrivo del male e di resistere. Nelle toccanti Lettere da Stalingrado di un russo e un tedesco, uniti nel destino e nella consapevolezza di compiere atti infernali che non hanno deciso loro. Nei versi di Wislawa Szymborska e Ingeborg Bachmann per cogliere in due righe, un istante, un’immagine, l’insensatezza della violenza. E infine per godersi in leggerezza, con Raffaello Baldini, il ritratto di una maggioranza non silenziosa: quella dei Coglioni (così il titolo) cui dobbiamo inchinarci per fatalità democratica pur sapendoli riconoscere; perché la caratteristica dei Coglioni è quella di non sapere di che pasta siano fatti, loro.
Francesca Bonaita
Il primo appuntamento aveva la voce del solo violoncello, che piace molto anche ai giovani compositori e nella musica d’oggi si dimostra sempre più versatile. Come il baritono, ha l’impostazione “centrale” che lo rende ideale per raccontare con spontaneità e naturalezza, senza che gli manchi la corda nostalgica e dolente, soprattutto se a governarlo è un interprete-autore come Lamberto Curtoni.
I prossimi appuntamenti suoneranno diversamente. Il 9 luglio, sempre alle 19 (orario di grande civiltà), con un classico trio violino-violoncello-pianoforte (Andrea Pecolo, Francesco Martignon, Andrea Rebaudengo) sul raro Come qualcosa palpita nel fondo di Armando Gentilucci (violino ed elettronica) e sul Trio di Mikis Theodorakis. Tema: La verità, vi prego, sulla guerra, sottotitolo #ColonnelliGreci #attivismo #dittature.
Il terzo e ultimo appuntamento di Musica Dissidente, No Justice, No Peace! #razzismo #America, può dividersi fra italiani (Fabio Vacchi, Giorgio Colombo Taccani) e americani (Florence Price, Jesse Montgomery) per scoprire, accompagnata dal pianoforte di Alessandro Commellato, una giovane violinista che vi lascerà a bocca aperta: Francesca Bonaita, musicista “pensante”, da poco premiata con il “Montale fuori di casa”, che nella sua continua ricerca di cose nuove e rare si stacca dal panorama del virtuosismo fine a se stesso e lancia segnali, sulle nuove generazioni, che i nostri preconcetti nemmeno vedono.
Foto di copertina: @Giovanni Daniotti