André Aciman, in “Variazioni su un tema originale”, ci mostra l’indeterminatezza dell’amore, il piede sul bordo del precipizio, l’infinita gamma di andate e ritorni, con la semplicità di un confessore, l’arguzia di un pensatore e l’abilità stilistica di un pittore
Avete mai sentito parlare delle amicizie stellari di Nietzsche? Se la risposta è affermativa, avete mai sognato di avere un amante stellare? Un amante, cioè, estraneo al vostro mondo, che vive al di fuori del tempo e dello spazio della vostra esistenza reale? Immagino di sì. Chi non lo vorrebbe? Di questo – e di molto altro – ci parla André Aciman nel suo ultimo romanzo Variazioni su un tema originale.
“Eravamo amici e siamo diventati estranei” dice Nietzsche ne La gaia scienza. “E così” aggiunge il filosofo, “vogliamo credere alla nostra amicizia stellare, anche se dovessimo essere terrestri nemici l’un l’altro”. Vale a dire che deve esistere un luogo e un tempo diverso da quello della quotidianità, nel quale abitano i nostri affetti e le nostre relazioni più eteree, forse, più impalpabili, ma anche – per così dire – perenni. Nulla, cioè, può cancellarli, scioglierli, eliminarli. Semplicemente, non vivono con noi. Non si nutrono di consuetudini (litigi, code al supermercato, dolori, tragitti in automobile, risate, cene al ristorante) né si costruiscono giorno per giorno insieme a noi (che poi, diciamolo, è il dispendiosissimo bello delle relazioni reali). Eppure – persi negli spazi interstellari delle possibilità – in qualche modo sopravvivono. Sempre e comunque. Ma sono davvero amori?
In questo suo nuovo romanzo – o per meglio dire – insieme di racconti, Aciman riesce a costruire un testo unitario, intrecciando cinque storie per certi aspetti molto diverse sul tema universale dell’amore. O – come dice il titolo stesso – sulle sue possibili variazioni. E, in particolare, si sofferma in modo originale non tanto su ciò che avvicina, piuttosto su tutto ciò che inesorabilmente allontana, due amanti. Il libro comincia con l’intenso resoconto del primo innamoramento del protagonista (bambino), in un racconto che per suggestioni, significati e ambientazione avrebbe la forza di un romanzo a sé. Anzi, direi che dovremmo immaginarlo così, un romanzo breve separato dagli altri quattro racconti, molto più omogenei, che condividono tra loro molti aspetti contenutistici e formali, e che si nutrono l’un l’altro di significato. Leggerli separatamente, infatti, come testi diversi, ne ridurrebbe la potenza narrativa, la sorpresa per le scelte dei personaggi, la non convenzionalità dell’intreccio, lo sviluppo stesso della personalità del protagonista. Ecco dunque che abbiamo di fronte un romanzo breve di toccante sincerità, abilità stilistica e compiutezza in se stesso (che come unica pecca ha quella di ricordare un po’ troppo il suo precedente romanzo Chiamami col tuo nome), e un romanzo più lungo, a mio avviso meno struggente ma più eccentrico, mi verrebbe da dire più moderno nelle scelte scenografiche e lessicali, suddiviso in quattro macro-capitoli, che condividono lo stesso registro linguistico e concettuale. Se Variazioni su un tema originale fosse un film, il primo racconto avrebbe una patina di polvere su una pellicola 35 mm, anche un po’ rovinata. M’immagino una fotografia calda, sui toni autunnali, e una colonna sonora dominata dalle fantasie di Beethoven. Gli altri racconti, invece, avrebbero una fotografia fredda, azzurro ghiaccio, e una pellicola 70 mm per darci una massima precisione stilistica. Avrebbero lo stesso regista e lo stesso sceneggiatore. E la stessa città – New York – come sfondo.
Inframmezzati da una miriade di spunti di riflessione, citazioni inusuali e commenti arguti, i racconti di Aciman ci immergono con estrema esperienza nei confronti del materiale umano (intrecci, relazioni, segreti, aspettative, dubbi, paure) nella vita di Paul, indeciso ma impetuoso sognatore, da sempre alla ricerca del vino della vita. E così lo vediamo alle prese con il demone della gelosia; perso nello struggimento del desiderio fisico (“evito di avvicinarmi, perché voglio avvicinarmi” ammette); intrappolato nelle pieghe di un non amore (gli amanti stellari, per l’appunto), un amore, cioè, che non porta in nessun luogo del reale, che non diventa mai neppure un bacio (“ci amavamo con tutti gli organi, tranne il cuore”); infine – più avanti con gli anni – vittima di un amore non ricambiato. Ma se a prima vista ogni racconto sembra sbrogliarsi verso un finale già immaginato, la preziosità di questo libro sta proprio qui, in questa differenza di prospettive: nulla, alla fine, è come sembra. Ogni storia ci regala, infatti, un vero e proprio colpo di scena. Ma non si tratta – badate bene – di un effetto speciale, di maestria narrativa da scuola di scrittura creativa, della ricerca forzata di un accadimento stravagante, piuttosto – ed è qui il bello – di un capovolgimento di fronte, di un vero e proprio ribaltamento del punto di vista che ci mostra un lato fino ad allora completamente inaspettato di ogni storia. La narrazione, infatti, procede in prima persona e noi ci lasciamo trascinare dalle impressioni di Paul, dalle sue idee, paure, aspettative, egoismi, senza che mai ci venga il dubbio che possa mentire a se stesso come a noi, spettatori inconsapevoli e dunque disarmati. Finché – di colpo – l’autore non ci presenta il punto di osservazione di un altro protagonista (di solito, l’antagonista), il quale – in un attimo – ci fa spalancare gli occhi di fronte alla nuova prospettiva di realtà. Ed ecco la grande verità: noi – come Paul – ci immaginiamo sempre che l’altro pensi come noi e ragioni come noi, ma non è affatto così. Ognuno vede e interpreta la stessa storia a modo suo. E i racconti diventano così specchio dell’animo umano e si fanno lezione esplicativa dei piccoli e grandi malintesi che sempre trovano spazio nelle nostre relazioni. Si elevano a ruolo di esempi archetipici dei possibili ostacoli ai quali potremmo andare incontro nella nostra corsa a ostacoli verso il raggiungimento del sentimento amoroso. Potremmo illuderci – per esempio – che sia il nostro compagno a tradirci, quando in realtà nel nostro cuore sappiamo d’essere noi a nutrire dei dubbi sulla nostra relazione. Oppure potremmo provare un desiderio improvviso e invincibile di riversare la nostra passione verso un oggetto d’amore nuovo ma sconosciuto, che potrebbe a sua volta essere già innamorato d’un altro con la stessa nostra intensità. O potremmo perseverare nel frequentare qualcuno che ci sembra di poter amare ma che per qualche (apparentemente) strana e insolita questione non riusciamo mai ad amare fino in fondo e per davvero. In ultimo, potremmo ingannarci e credere che l’oggetto del nostro amore ci debba per forza amare a sua volta, perché non può che essere così, e dunque sbagliamo ogni volta a scacciare sdegnosamente dalla nostra mente le tracce e gli indizi che sono lì a mostrarci la verità, a indicarci, cioè, che la sua gentilezza, le sue indecisioni, la sua rinuncia tardiva ad invitarci a casa sua, al cinema, al ristorante – insomma, a rivederci – non è un segno di timidezza, mancanza di occasioni o di intraprendenza, bensì è semplicemente il segno che non ci ricambia. Certo, ora sembra tutto così semplice, ma è ovvio che non lo sia, e Aciman riesce a mostrarcelo nitidamente, con lessico asciutto ma elegante, centrando ogni volta il cuore del problema. Come se avesse vissuto – almeno nella sua immaginazione – dieci, cento, mille storie d’amore. Perché ogni cosa, potremmo dire, ogni relazione, ogni amore, non è bianca o nera, ma vive di sfumature, impressioni, possibilità, e non è detto che riesca immediatamente a mettersi a fuoco. “Non eravamo né amici, né sconosciuti, né amanti” dice a un certo punto del racconto Paul, “eravamo in bilico”. Ecco, Aciman ci mostra questa indeterminatezza, questo piede sul bordo del precipizio, questa infinita gamma di andate e ritorni, con la semplicità di un confessore, l’arguzia di un pensatore e l’abilità stilistica di un pittore. In poche parole, con l’esperienza e la grazia del grande scrittore.
“Io penso che la parte più importante della nostra vita accada nella nostra testa” ha detto una volta in una intervista, “desiderare qualcuno vuol dire fantasticare su questa persona. Forse per questo gli amori incompiuti, gli amori impossibili, sono quelli che durano di più”.