Dalle macerie del ’77 Elmo X ha imparato cosa vuol dire usare la comicità per digerire il presente anche quando è inguardabile. Su questo ha costruito la sua carriera e il suo successo: esercitando la fascinazione della parola. Ma gli anni Settanta sono finiti, e la televisione commerciale va a braccetto con una nuova idea di politica: se il talento si accoppia alla manipolazione, la posta si alza immensamente. Il primo ad esser tradito non può che essere l’amico di sempre.
Un romanzo che attraversa gli anni della creatività in tumulto e riflette sull’eredità e sul significato della libertà di parola.
Quando Guglielmo Scandi si dà fuoco (volontariamente? incidentalmente?) sulla spiaggia di Riccione avvolto nella bandiera italiana, le sue immagini rimbalzate dalla televisione non possono essere più lontane dalla compostezza mistica di un bonzo che si immola per la propria libertà.
Quel corpo martoriato, insieme grottesco e tragico, è per Alberto – che con Guglielmo ha tranciato da anni ogni rapporto dopo esserne stato estremamente ferito – qualcosa di più di un fatto di cronaca, a corollario drammatico della parabola discendente di un comico non più giovane, non ancora vecchio ma in fondo unanimemente considerato già bollito.
Quel gesto è l’irruzione dal nulla di un urlo, il richiamo di una sirena ferita a morte.
Così Alberto, benché ancora si costringa a restare legato con il corpo all’albero maestro del suo presente, non può evitare che il suo pensiero si avventuri lontano, fino a riavvolgere all’indietro il filo della storia di una amicizia viscerale ed esaltante, creativa e crudele.
A due anni dall’uscita de Il canto dell’ippopotamo, magistrale prova di ricostruzione del tempo terreno umano e poetico di Pierluigi Cappello, Alberto Garlini pubblica per Mondadori Il sole senza ombra, e con il nuovo romanzo costringe un passo più in là i temi che già erano affioranti nel libro precedente.
Ancora una volta, dunque, è la stratigrafia dei sentimenti che compongono la sostanza dell’amicizia ad essere messa al setaccio dalla trama. E ancora una volta la domanda sottesa al testo è quanto realmente possiamo conoscere di chi ci sta al fianco, quanto ci è permesso davvero – al di là di comunanza, intenti, esperienze e tempo condiviso – di toccare la verità dell’altro.
Guglielmo Scandi, che abbandona in provincia i suoi contorni anagrafici per diventare a Bologna Elmo X, il comico talentuoso che si dà in pasto al suo tempo per esserne attraversato e cavalcarlo, è però tra le varietà umane una specie di difficilissima definizione.
Bello, inquieto, non riducibile, seduttivo sempre, sfrontato, Elmo è sostanzialmente un infestante, un ego ipertrofico che si impossessa del paesaggio, lo cambia e lo abbandona a piacimento, muta, si insinua nelle fondamenta e le sgretola, mina la compattezza delle più solide convinzioni (e quando, infine, ne provoca il crollo, non si sposta).
Sono gli anni Settanta, c’è la protesta, c’è una generazione che guarda dritto in faccia alla libertà di espressione come diritto fondante, c’è Bologna, ci sono le cariche della polizia, i lividi, il carcere, le botte, il sapore ferroso del sangue sputato, l’idealismo e l’ideologia, lo sporco della polvere unta sotto i materassi, le radio libere, la partecipazione e il confronto, l’eroina, il degrado, la creatività disinibita, l’uccisione di Aldo Moro.
Un po’ come accade ne Gli anni di Annie Ernaux, non è un libro di storia, quello di Alberto Garlini, ma il punto di vista cui ammette i suoi lettori è un affaccio su quello che nei libri di storia non entra.
La voce che guida il racconto nella lunga catabasi di un sistema di ideali poi annegato negli anni Ottanta è quella di un sopravvissuto più incline alla resistenza che all’epica, che di sé si pensa sempre separato e in scacco, una sorta, dice, di svedese italiano tutto d’un pezzo, che assorbe la vita che accade cercando di mantenere una propria etica anche quando questo significhi sottoporsi ad una spietata e dolorosa e scarnificante autoanalisi.
L’Alberto del romanzo è per molti versi l’alter ego di Elmo, e non solo perché ne è stato l’agente che lo ha guidato al successo, l’amico che lo ha sempre accolto, il cervello che in lui ha individuato le capacità prima che si rendessero manifeste, il compagno di mille sbronze e ventimila notti di fumo elucubrazioni sesso fughe sogni e occhiaie.
Scoprimmo una comune luccicanza afferma la voce narrante per circoscrivere l’inizio di quell’amicizia eccezionale: e in effetti è proprio dentro quel riverbero che si compie il mistero del legame: il sole di Elmo è apollineo, spietato, magnifico, imperscrutabile così come la sua capacità di muovere argomenti per provocare la risata.
Non occorre andare a scomodare le censure millenaristiche del Venerabile Jorge e la sua personale crociata contro il riso figlio del diavolo: anche fuori dalle segrete oscurità de Il nome della rosa è evidente quanto la comicità possa e sappia essere eversiva, e volutamente in piena luce, nelle pagine de Il sole senza ombra, si compie il paradosso della distorsione, poiché è sotto i fari che illuminano i palcoscenici di Elmo che tutto ciò che è esibito non è.
Ed ecco un altro dei temi cari a Garlini: il rapporto non incidentale tra realtà e parola; ma mentre nel romanzo precedente era la forza vivifica, costruttiva, poetica in quanto forma vissuta della creazione a tenere insieme e a spingere la narrazione, questa volta è piuttosto la decostruzione dei singoli legami, risalendo fino all’intero contesto sociale e politico.
Poiché questo è fondamentalmente un libro sul potere della parola, sulla sua capacità catartica e parossistica, sulla concreta stregoneria che l’immaginario, messo al servizio di una brillante attitudine affabulatoria, è in grado di agire sulla percezione, sulle emozioni, sull’aspettativa e persino sulla volontà di una collettività.
L’umorismo è come pattinare su una sottile striscia di ghiaccio. Ma da sotto, dalla parte dell’acqua gelida. Poche parole paradossali che capovolgono il mondo.
Quale sconfinato potere ha infatti in mano una intelligenza capace di far saltare logica e morale a beneficio di una risata? Lo prova su di sé, Elmo, nelle sue prime mosse, quando, in mezzo a una rivolta studentesca, si appropria dei microfoni di Radio Meraviglia:
La libertà del comico è la libertà di lanciare merda. La libertà del comico è la libertà di tutti noi
Quello che è certo è che la parola esercitata non è mai innocente, proprio perché è ingravidata di intenzione.
Elmo X arriva a sperimentare il linguaggio che sarà quello della stand up comedy americana, guida il suo pubblico a fissare in faccia il peggiore dei traumi e a comprenderlo dentro di sé ridendone: imbastisce una routine sul caso Moro e scavalca ogni pudore:
La comicità non è un enigma. O solo in parte. È una chiamata alla colpa collettiva
L’ascesa al successo, in definitiva, è l’ascesa al potere: i tempi maturano una nuova idea di politica e compromissione, e Elmo più conquista più desidera oltre.
Nessuna figura femminile è in grado di scalfirne la solitudine trasparente, capricciosa, autoindulgente e distruttiva: Rossella, Alba, Betta, perfino Marta sono tessere da consumare nell’infinito catalogo della seduzione istantanea; e Amelia Rojo, la musa, quando c’è e non è impegnata a impazzire, è una musa stralunata e in perenne fuga.
La resa che Elmo chiede a sé è totale: come un imperatore romano, il suo astro illumina e brucia la corte di cui si circonda, che lo accudisce e che lui nutre al prezzo di una attenzione che non ammette pieghe.
Anche a questo serve la comicità: a creare le condizioni per isolare un uomo e a ucciderlo
Così proprio mentre costringe sé stesso a trattenersi, anche Alberto in realtà ha già dato tutto di sé. Si è consegnato e verrà fatto fuori senza possibile appello:
Non chiamai. Dovevo conservare l’aplomb, il buon gusto, il romanticismo del distacco. Amavo la sofferenza, era la mia vendetta. È assurdo pensare che la propria sofferenza si trasferisca su chi odiamo, moltiplicata per mille, e lo faccia soffrire mille volte quanto soffriamo noi. Ma lo pensavo, e la sofferenza rappresentava il cartone sagomato del mio orgoglio.
Impossibile capire il perché, impossibile capire il come. Impossibile, soprattutto, trovare il bandolo nel groviglio indistinto di menzogna e finzione che la parola di Elmo ha tessuto in tutte le relazioni, e che viene trasformata in materia di spettacolo, frutto di una mistificazione continua: un continuo sforzo di processare informazioni e accadimenti per trasformarli in oggetto da espellere una volta posseduto.
Soltanto così Elmo riesce a non essere solo con sé stesso; solo la risata che sente in testa, in modo preventivo, lo salva dall’essere fagocitato dai suoi demoni.
Servirà l’incendio di sé per aprire un varco al riavvicinamento di Alberto, al lenimento e alla rilettura di tanti errori scelti e condotti all’estremo, poiché solo alla fine si capirà il perché, quale sia stato il motivo profondo, il danno da cui è scaturita l’ombra che, per tutta la vita, ha abitato nel corpo e nella mente di Elmo. Con nessuna salvazione.
Forse.