Savinio e la musica. Pittore, scrittore, saggista, l’Artista è stato anche un importante compositore. Ma questo suo talento è rimasto spesso in ombra. Rimediano NoMus e il Museo del Novecento con una mostra e una serie di interessanti iniziative
Ci sono uomini la cui inquietudine si manifesta in una poliedricità di realizzazioni artistiche, dono e pena che consiste nell’alternare e mescolare parole, suoni e immagini. Alberto Savinio (1891-1952), pittore, scrittore, compositore, era uno di questi uomini. Anche se, va detto, delle sua sua genialità musicale poco o nulla è noto al grande pubblico. Ora ci mette meritoriamente una pezza l’Associazione NoMus che ha curato il progetto Omaggio a Savinio: l’uomo isola. Il suo aspetto di compositore sarà indagato con concerti dal vivo, ascolti, proiezioni, conferenze. e una piccola mostra a lui dedicata inaugurata ieri al Museo del Novecento (durerà fino al 15 maggio) che ci racconta questo poliedrico artista soprattutto attraverso la sua faccia meno nota facendoci vedere – e sentire – le tappe più significativi del suo inedito percorso musicale.
Allora, nell’invitarvi al Museo del Novecento, tentiamo di tracciare un breve profilo sonoro dell’artista (che, oltre alla composizione musicale, comprende anche un non trascurabile impegno come critico musicale raccolto nel volume Scatola sonora). E partiamo dalle parole stesse di Savinio e dalla sua idea di musica:
La musica è una straniera nel nostro mondo, un’intrusa. […] L’essenza della musica ci sfugge. E ci sfuggirà sempre. Ci sfuggirà perché la musica ‘non è cosa nostra’. La musica non fa parte delle cose che compongono l’assieme degl’‘interessi umani’. […] Che è questa misteriosa cosa che vive soltanto nel tempo? […] Noi crediamo possedere la musica, e invece è la musica che possiede noi. […] la sola definizione che si addice alla musica, è la Non Mai Conoscibile. E non senza ragione. La non conoscibilità della musica è la ragione della sua forza, il segreto del suo fascino, e se l’uomo cede con tanto piacere alla musica, è soprattutto per il ‘diverso’, per l’‘ignoto’ che è in essa. (Scatola sonora)
Sono riflessioni che riecheggiano un mondo (romantico e poi simbolista) che alle spalle di Savinio (nato a fine Ottocento) ancora era ben presente, ma allo stesso tempo aprono a un certo mondo (novecentesco) onirico e metafisico, di cui è intessuta la sua intera produzione .
Savinio esordisce come compositore (dopo essersi diplomato ad Atene in pianoforte e composizione a 12 anni ed essersi successivamente perfezionato a Monaco con Max Reger) a Parigi tra il 1911 e il 1915, a contatto con personaggi quali Picasso, Stravinskij e Apollinaire. Siamo nel cuore dell’avanguardia del Novecento, alla quale Savinio dà un contributo che vale la pena riscoprire: balletti, teatro pantomimico, liriche per canto e pianoforte e altre commistioni artistiche non definibili si susseguono in questi pochi anni nel tentativo di superare le convenzioni musicali (formali, melodiche, armoniche) e arrivare a una musica che lui stesso definisce désharmonisée. Ne nasce un flusso sonoro frammentato e dissonante, forse tentativo estremo ed estenuante di forzare quella musica che sempre ci sfugge.
Esempio emblematico di questo modo di procedere sono Les chants de la mi-mort (scènes dramatiques d’après des épisodes du Risorgimento), azione teatrale del 1914 impossibile da inquadrare in un genere preciso, di cui Savinio scrisse musica, testo, nonché i bozzetti di scene e costumi.
La trama sonora è intessuta di melodie (o ciò che ne resta) che sembrano continuamente citare ironicamente altra musica (distorcendola e così demolendola: vedi il Canto degli italiani ne L’exécution du général). Ma è il carattere teatrale forse il dato più decisivo di questa e altre coeve composizioni: come scrive Luigi Rognoni, «il progetto musicale di Savinio mira al teatro, ad un teatro “metafisico” dove il rapporto tra musica e dramma venga inteso non più come illustrazione del dramma attraverso la musica, ma come rapporto paritetico che garantisca, nello stesso tempo, unità e autonomia all’azione drammatica e all’azione musicale».
Ma la strada musicale di Savinio si interrompe presto; scrive ancora l’artista:
Musicista, io mi sono allontanato nel 1915 all’età di ventiquattro anni dalla musica, per “paura”. Per non soggiacere al fascino della musica. Per non cedere totalmente alla volontà della musica. Perché avevo sperimentato su me stesso gli effetti deprimenti della musica. Perché da ogni crisi musicale io sorgevo come da un sogno senza sogni. Perché la musica stupisce e istupidisce. Perché la musica rende l’uomo schiavo; […] l’uomo ama sentirsi schiavo: sottomesso a una schiavitù fisica e assieme a una schiavitù metafisica, quale la musica eccellentemente dà. (Scatola sonora).
Forse è stata l’incomprensione per la sua musica, forse la reale difficoltà a trovare una strada come compositore, fatto sta che Savinio da questo momento in poi si dedica interamente a pittura e scrittura (nel 1918 esce quell’unicum che è Hermaprodito); e anche la musica, tramite la critica musicale, passa attraverso il filtro della parola.
Un breve ritorno alla musica si ha negli anni 1924-25, con la tragedia mimica La mort de Niobé e il balletto Ballata delle stagioni. Ma è nell’ultimo periodo di vita (dal 1944 alla morte) che la composizione ritorna a essere in primo piano, e proprio attraverso il teatro: nascono così il balletto Vita dell’uomo (1948), i radiodrammi Agenzia Fix (1949) e Cristoforo Colombo (1951) e soprattutto Orfeo vedovo (1950), la sua opera più significativa.
In queste composizioni la riflessione esistenziale, metafisica, si fa stringente, benché velata dalla solita ironia. In Agenzia Fix il protagonista, suicida, rievoca i momenti più significativi della sua vita, con un’amara sorpresa finale (significativo il fatto che l’anima del defunto non sia un personaggio, ma un clarinetto basso); in Orfeo vedovo, invece, troviamo il mitico cantore in panni moderni, alle prese con una Euridice rediviva che lo tradisce; alla fine, non potendo sopportare tale situazione, Orfeo si ucciderà, per essere riportato in vita subito dopo e finalmente ritrovare il vero amore della sua vita, la Poesia.
Archivio storico Teatro alla Scala
Come si può vedere, è soprattutto il limite sconosciuto tra la vita e la morte e il valore dell’arte in questo limbo a essere al centro dell’attenzione dell’ultima stagione dell’artista. E in questa ricerca estrema la musica sembra riconciliarsi con Orfeo-Savinio: la «Non Mai Conoscibile», proprio per la sua ambiguità ed estraneità al mondo degli uomini, diventa indispensabile per indagare l’ultimo viaggio dell’uomo.