Pro o contro il digitale a scuola? Cosa si acquista e cosa si perde? Memoria, capacità argomentativa, nessi logici? Mentre debutta il piano nazionale più d’uno lancia l’allarme
La scuola arranca, arranca sempre, da un po’ di tempo anche dietro la tecnologia. La rincorsa è il suo destino. Questa volta però l’inseguimento non è del tutto volontario: è inevitabile, come è inevitabile l’adeguamento allo stato di realtà, alla sterminata e inarrestabile marea di studenti tutti, indistintamente, nativi digitali. E inoltre la velocità si è fatta supersonica rispetto alle innovazioni del passato. Un esempio: power point, motivante e trainante fino a qualche tempo fa, appartiene ormai all’archeologia digitale, è vecchio e annoia i ragazzi.
Il Piano nazionale per la scuola digitale (qui, per saperne di più) è decisamente ambizioso e prevede una vera e propria rivoluzione che tocca più ambiti, dall’organizzazione del lavoro all’edilizia scolastica, alla stessa trasformazione radicale dei laboratori, alla formazione a tappe forzate dei docenti.
Entro il 2020 sono previsti la fibra e la banda ultra-larga unitamente al cablaggio interno di tutti gli spazi di ogni singola scuola; ambienti digitali per la didattica e progettazione/ ristrutturazione di strutture edilizie innovative; è da ultimo il registro elettronico per ogni tipo di scuola.
Una corsa ad ostacoli, non c’è che dire, a vedere lo stato di partenza. Gli insegnanti, anche quelli che hanno abilità e consuetudine con la tecnologia, cominciano ad avere il fiato corto.
Ma a preoccupare non è solo la difficoltà tecnica, quanto la nebulosità dei fini nel processo di apprendimento .
In altre parole, siamo davvero così certi che un docente esperto che sappia usare con maestria la LIM (lavagna interattiva multimediale) e interagire con gli allievi attraverso il tablet, riesca a compiere il miracolo della trasmissione del sapere?
Nella premessa e negli intenti relativi alla didattica, il Piano resta vago, insiste piuttosto sulle competenze, dote insopprimibile del futuro, pare, anche se la ministra Giannini ha voluto precisare che non si può parlare di una ‘mera tecnicizzazione della scuola’, ma di un ‘modello umanistico innovatore ‘. Tutto però da spiegare.
A questo proposito l’Ocse in un recente rapporto ha ricordato che nessun passaggio educativo può prescindere da un’interazione intensiva studente/discente e la tecnologia non può distrarsi da questo fondamentale ‘rapporto umano‘.
Siamo tutti d’accordo ma non riusciamo a fare la sintesi. Ci ha pensato il 7 gennaio scorso Benedetto Vertecchi, il decano dei pedagogisti italiani. ‘Alfabeto a rischio?‘, è questo il titolo del suo intervento poi ripreso qui da Repubblica, ma anche l’interrogativo che si pone il professore, preoccupato degli effetti che l’impiego massiccio delle tecnologie sta producendo: riduzione della manualità, bambini che non riescono ad usare le forbici, scarsa pratica di scrittura, non distinguono caratteri, corsivo e stampatello, né minuscolo e maiuscolo.
L’effetto più devastante però è, a suo avviso, quello relativo alla caduta della memoria: la tecnologia abitua i giovanissimi a pensare che c’è sempre una risposta all’esterno e non nella loro mente. Inoltre risulterebbe fortemente compromessa la capacità argomentativa .
E dunque stiamo assistendo impotenti al lento declino dell’alfabeto e con esso di alcune abilità? Ma se così fosse, e se è vero che i quindicenni con le migliori performance nella lettura e nella matematica sono quelli che utilizzano meno tecnologia a scuola rispetto alla media dei compagni; se è dimostrato da studi scientifici che l’eccesso di stimoli danneggia la mente e soprattutto intacca in maniera irreversibile la capacità di leggere la realtà, come si deve comportare un insegnante nella pratica quotidiana, soprattutto nel momento in cui la tecnologia viene introdotta nella scuola in maniera così decisa?
Sul piano dell’organizzazione del lavoro la tecnologia sembra funzionare attività di segreteria, registro elettronico, uso ragionevole della LIM), nella didattica giornaliera molto meno. Loredana Marchetti, insegnante di filosofia nei licei da lunghi anni, dotata di un’invidiabile dimestichezza hi tech, è testimone esemplare della perplessità del docente in questo momento. Conferma la grande abilità degli adolescenti nella velocità di passaggio da un programma all’altro e nello stesso tempo la grande difficoltà nel tenere il filo del discorso; oltre a ciò constata una manifesta regressione nell’uso dei nessi logici. Insomma un costo cognitivo altissimo.
Che fare? L’unica soluzione a suo modo di vedere e di fare consiste nel fornire agli studenti criteri di selezione delle informazioni che sono tante, troppe e difficili da gestire. Un passo importante per arginare la deriva alfabetica, ma urge formare gli insegnanti a questa nuova sfida.
Immagine di copertina di Cesar Ojeda