La storia di una donna che diventa una diva: dal musical al cinema, da Vienna a Hollywood. Una biografia perduta, ritrovata fortunosamente dopo decenni dentro una valigia, dipinge i tratti che hanno fatto di Dietrich un fenomeno unico: un viso «che parla non solo all’occhio ma anche allo spirito»; una voce «in cui verità e illusione coesistono in maniera sconcertante», e che «esercita una fortissima magia erotica». Ammiratore, amico, folgorato dalla sua bellezza, Alfred Polgar fece di Marlene un racconto vivente. Lo pubblica Adelphi, con un saggio di Ulrich Weinzierl.
Un volto intenso, con chiaro-scuro drammatico, un’aureola di pelliccia di volpe bianca intorno al collo, ai capelli. È la divina, inarrivabile Marlene che spicca sulla copertina della sua biografia appena uscita da Adelphi. E la fotografia iconica di William Walling corrisponde esattamente al ritratto biografico che firma Alfred Polgar. Perfino il colore della copertina di cartoncino richiama il film più famoso della Dietrich, L’angelo azzurro.
Il suo ambiguo personaggio forse l’ha già imprigionata nell’immaginario collettivo, ma lei non se ne è mai lamentata. Ma poi, la Dietrich lamentarsi? Quando mai? Non è nel suo personaggio, né nella sua vita.
La biografia di Alfred Polgar (1873 – 1955) fu trovata fortuitamente quasi trent’anni dopo la sua morte ed è stata pubblicata per la prima volta nel 2015.
Il sottotitolo, Ritratto di una dea, mantiene la promessa.
Siamo a metà degli anni Venti al Wienerwald Kammerspiele di Vienna. Va in scena Broadway un musical con gangster spietati e cinque magnifiche girls. La seconda da sinistra è lei, che estrae la pistola e con indifferenza fa fuori il più trucido dei gangster:
‘Quella enigmatica, misteriosa bellezza, compiutamente bella anche nella figura, che nello spettacolo teatrale – una fra tante – recitava fedelmente, senza gusto né disgusto, quel che era chiamata a recitare, sbrigava la sua parte con una sorta di baldanzosa bravura’.
Già dalle sue prime apparizioni, quando non era che una ballerina di fila in un musical tra tanti, si forma intorno a Marlene un circolo di adoratori, presieduto dall’illustre linguista e psicoanalista A. J. Storfer , e lo stesso Polgar è tra i soci.
Ah, Marlene! Chi crede che già nel nome sia segnato il destino lo trova proprio in Marlene, contrazione in tre sillabe di Maria Maddalena, il nome della peccatrice del Vangelo, cui molto può venire perdonato perché molto ha amato.
Eppure i presupposti della Dietrich erano di tutt’altro tenore: la sua infanzia è improntata tutta a rigore prussiano, disciplina e senso del dovere, che resteranno sempre suoi imperativi insieme a quello di mai, mai mostrare i propri sentimenti.
Da giovane studia musica, canta e recita qualsiasi cosa con impegno, è una perfezionista anche nella più piccola particina. Ha il suo circolo di adoratori, ma ancora non sfonda. Intanto è la moglie felice del direttore di produzione Rodolfo Sieber.
Un anno dopo ottiene la parte che fino a oggi è la sua preferita: quella di madre felice. Di una bambina, che riceve il tenero nome di Heidede, scrive nella sua agiografia Polgar.
Altri successi alla rivista e, finalmente, il cinema.
‘Impersona l’elegante seduttrice che si compiace nel passeggiare sopra i cadaveri, la vampira – abbreviato in ‘vamp’- distesa ‘à la serpent’ su vaporosi cuscini e dedita a succhiare il sangue o almeno il denaro dei gentlemen…ha scoperto una delle linee di forza della sua indole: l’enigmatico, il misterioso l’oscuro-minaccioso’.
Poi , finalmente, l’incontro con la triste-sexy Lola de L’angelo azzurro e con il regista Josef von Sternberg. Marlene parla di lui come Brunilde (alla quale per il resto non somiglia affatto) di Sigfrido: “Giunse il risvegliatore!”.
Poi Polgar ci trascina in un deliquio sulla recitazione, sul viso, la voce, le espressioni e poi… poi le gambe. ‘Ma le gambe/ le gambe a me piacciono di più’.
In tutti i suoi aspetti la Dietrich è straordinaria, anticonformista, irresistibile, DIVINA.
In una lunga intervista che le fa sulla sua carriera, i ruoli, i sogni, per concludere Polgar le chiede:
“Un’ultima domanda per concludere, cara Marlene Dietrich: Quali sono i suoi lati negativi ?
Marlene, calma, raffreddata e alquanto rassegnata, ci pensa su un pochino, e poi dice semplicemente: “ Nessuno”.
Il signor Sieber (il marito ), entrando nella stanza, corrobora vigorosamente l’asserzione della moglie”.
Il tono della biografia di Polgar è estremamente encomiastico: ci lascia in muta ammirazione, sedotti dall’irresistibile sensualità della divina Marlene, (totalmente divina, totalmente perfetta).
A dare sangue rosso e vita alla vampira ci pensa Ulrich Weinzierl col suo bel saggio ‘Ma innamorato di lei, lo ero… Alfred Polgar e Marlere Dietrich’; è lui che riscopre e pubblica il manoscritto custodito dalla vedova dello stesso Polgar in una vecchia valigia ereditata dal figlio.
Weinzierl contestualizza la biografia e il rapporto tra i due e aggiunge aspetti interessanti, seducenti, trasgressivi sulla Marlene donna.
Racconta della ‘folgorazione‘ del 20 settembre 1927 sul palcoscenico di Broadway, del circolo di adoratori, tutti intellettuali, giornalisti. Marlene è una lettrice appassionata, ama Hamsun, Rilke, Dostoevskij e… anche Polgar.
Ai tempi lui era un raffinato saggista, critico teatrale, ben inserito nella buona società viennese. Ma le cose precipitano per lui con l’occupazione nazista. Costretto alla fuga prima in Svizzera, poi in America, si barcamena con misere collaborazioni.
La Dietrich lo aiuta con assegni, e lui, dignitoso, vuole ripagarla con una biografia che aveva già quasi concluso. È disperato, amareggiato.
Intanto la carriera di Marlene prende il volo a Hollywood, e lei lascia il suo regista-amante-Pigmalione. Scrive Weinzierl:
‘ A ben considerare, da Marocco in poi i film artificiosamente e a tratti manieristici di Strenberg non rispondevano più ai gusti del pubblico della metà degli anni Trenta’,
Nel 1939 ottiene la cittadinanza americana e insieme alla folgorante ascesa cinematografica, comincia una nuova fase: quella della fiera paladina della libertà contro la dittatura nazista.
Lili Marleen diventa il suo inno personale e resta fino alla sua ultima esibizione del 1976.
“È stata la parte migliore che abbia mai recitato. Ed era la parte che più amava e nella quale ha raccolto i successi più grandi. Riceveva allori per il suo eroico coraggio, mieteva medaglie e onorificenze, era stimata e rispettata. Riuscì a passare dal grado più basso della truppa a quello di un generale a cinque stelle”
scrive con astio la figlia Maria Riva nella sua biografia, un documento agghiacciante, che ci mostra l’altra faccia dell’icona Dietrich.