Nel giardino incantato di Alik Cavaliere

In Arte

Nel cuore della vecchia Milano esiste un luogo magico dove tra alberi di bronzo può capitare di imbattersi in Apollo e Dafne. Ma lo conoscono in pochi.

Alberi contorti, rinsecchiti, con meravigliosi, giganteschi pomi rossi si insinuano nelle reti metalliche che li vorrebbero tener prigionieri in cerca della libertà: l’opera di Alik Cavaliere (1926-1998) è una contaminazione di arte e natura, di mito, fiaba e realtà. Il bronzo in cui sono fusi ha una vita sofferta, drammatica, ma, come per magia, riesce a generare vita. Percorrere le sale dello studio che raccoglie le sue opere è una specie di viaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, di percorso iniziatico all’interno del De Rerum Natura di Lucrezio, delle Metamorfosi di Ovidio.

 

Susi-e-Lalbero
Alik Cavaliere, Susi e l’albero, 1969. Courtesy Centro Artistico Alik Cavaliere

Siamo in via De Amicis, nel cuore della vecchia Milano, entriamo in un convento del Seicento con un ampio chiostro, a sinistra un cancello si apre sul parco che circonda i ruderi dell’antica Arena romana, sul fondo una piccola porta ci introduce al Centro Artistico Alik Cavaliere. Il traffico convulso, i rumori e le brutture della città sono lontani. Siamo immersi nella bellezza e nella storia. La prima scultura che incontriamo è Susi e l’albero, una specie di robot affranto, seduto di fronte a un livido albero su cui sboccia una turgida, fragrante mela di un rosso brillante come quella di Biancaneve; la composizione è chiusa in un box di vetro su cui scorre dell’acqua, il suo rumore è una sorta di musica. Lo spazio poi si apre in una sala con grandi installazioni. Struggente è Apollo e Dafne, ispirata a Ovidio e naturalmente a Bernini, coglie l’attimo drammatico in cui la ninfa è riuscita a fendere una rete metallica per sfuggire al dio. Le carni di Dafne sono tenere, rosee, le sue braccia ferite si stanno trasformando in rami di bronzo. Viene in mente il lamento di Polidoro, quando Dante strappa i rami di un cespuglio in cui era stato trasformato (Inferno, canto XIII vv. 35-37): Perché mi scerpi? / non hai tu spirto di pietade alcuno? / Uomini fummo, e or siam fatti sterpi.

W la libertà
Alik Cavaliere, W la libertà, 1977. Courtesy Centro Artistico Alik Cavaliere

Infine usciamo nell’ampio cortile interno, circondato dal retro di alte case bianche di fine ottocento, che gli conferiscono un’aria più familiare, meno artefatta. Al centro c’è un prato verde squadrato, curatissimo, con una lussureggiante vegetazione: fichi, olivi, querce, tassi si alternano ai fantastici alberi di Alik Cavaliere poggianti su lastre di metallo a specchio. L’effetto è di una malia sottile, avvolgente. Lungo la corte troviamo delle comode panchine, vorresti star lì, in quel giardino, a godertelo, a meditare, a ricordare. E’ anche un po’ il sogno della figlia dell’artista, che cura la Fondazione: le piacerebbe diventasse un posto in cui la gente va abitualmente, anche solo per star in pace, a prender fiato, a leggersi il giornale.

Centro Artistico Alik Cavaliere, Milano, via E. De Amicis 17

Immagine di copertina: Alik Cavaliere, Il grande frutto, 1977. Courtesy Centro artistico Alik Cavaliere

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